SLONGO. «COSI' È CAMBIATO NIBALI»

PROFESSIONISTI | 17/05/2016 | 08:39
È rassicurante Paolo Slongo, non solo perché sa rassicurare. Calmo, pacato e riflessivo, ma anche lieve e leggero. Sa essere esigente, senza essere duro. Chiede impegno, abnegazione e determinazione l’allenatore trevigiano, e questo a Vincenzo Nibali piace. A lui ha affidato nel 2008 la sua preparazione, e ora che è un corridore acclamato e conclamato non ha cambiato di una virgola: continua a leggere e a seguire pedissequamente le sue linee guida.

Paolo Slongo è il progettista di una macchina complessa e sofisticata. Vin­cenzo Nibali è il pilota, chiamato a guidare e guidarsi a tutta velocità toccando il minimo necessario i freni. Il Lom­bardia vinto alla fine dell’anno scorso ce l’abbiamo ancora negli occhi, ma nel cuore e nelle nostre memorie restano le giornate magiche e trionfali di Shef­field, Arenberg, La Planche de Belles Filles  o Lourdes Hautacam.

«Con Vincenzo ci intendiamo ormai a meraviglia, siamo in perfetta simbiosi. Nel ruolo in cui sono - si racconta in una serata di fine aprile al Giro del Trentino Melinda - devo essere anche uno psicologo. Vincenzo è un campione nato. Ha il carattere dell’uomo che ama vincere e quando non ci riesce, come è normale che sia, s’innervosisce parecchio: lui non ama fare brutte figure. Ma qui al Trentino ci stava. Nel 2013, quando vinse la maglia ciclamino, veniva da un blocco di lavoro in altura e poi otto giorni a casa, prima di andare a correre. Questa volta, invece, siamo tornati alla domenica e lunedì eravamo già in viaggio per il Trentino. Non avevamo alternative: non c’era tempo necessario per poter fare un bre­ve periodo di ambientamento. Al Tren­tino, Vincenzo aveva le pulsazioni del suo cuore molto alte. Anche nell’ultima tappa, quando è andato in fuga, ha pe­dalato in salita a 366 watt medi con una frequenza cardiaca di 177 pulsazioni. Per darvi un’idea: quando Vincenzo sta bene, ha una soglia tra i 165 e i 175. Per lui era come correre con un limitatore. In ogni caso siamo più che sereni, anche se lui come tutti gli atleti si fa prendere dal dubbio, dal timore di aver sbagliato qualcosa. Ne abbiamo parlato, abbiamo verificato i dati, non c’è nul­la di che preoccuparsi, i processi fi­siologici di adattamento all’altura van­no rispettati. Una volta terminati, vi accorgerete che i frutti del grande lavoro svolto si vedranno nitidamente».

Nibali non è solo numeri e cifre. Non è solo sintesi e neppure analisi. La sua storia parziale può essere raccolta in quella scatolina che ha perennemente davanti al proprio naso, ma non è tutto lì. Vincenzo è molto di più. Per questo è un campione di istinto e imprevedibilità. C’è un SRM che raccoglie dati e mostra chiaramente e indiscutibilmente il suo talento e poi c’è la sua testa, che fa la differenza. Che è l’essenza del suo essere atleta.

Per Slongo, che spesso entra anche in quel cuore di campione e uomo di grande sensibilità, i numeri sono tanta roba.
«L’ho detto più volte: Vincenzo era un artista che viveva solo e soltanto sulle sensazioni - ci spiega - . Poi crescendo e analizzando tutto, perché Vincenzo è uno che prima vuole capire, ha trovato l’equilibrio tra la sua natura istintiva e la scienza. Così il suo lavoro è diventato metodo. Al Tour 2014 forse abbiamo toccato il punto più importante e alto della nostra collaborazione. Lì ab­bia­mo capito e ci siamo capiti. Ora sia­mo in una fase di miglioramenti continui e costanti, fatta di piccoli accorgimenti, diciamo pure dettagli, che na­scono anche dalle esigenze del corridore. Quest’anno, ad esempio, Vin­cenzo mi aveva espressamente chiesto di raggiungere subito una buona condizione di forma, che cercheremo di man­tenere lungo tutta la stagione. Una sorta di preparazione spalmata. Siamo partiti prima con il Tour San Luis. In Oman ha vinto e alla Tirreno, se non fosse stata annullata la tappa regina, non di­co che avrebbe vinto, ma sicuramente sa­reb­be finito sul podio. Insomma, è un Nibali che vuole avere un rendimento elevato e costante, con un primo grande picco di forma che dovrà essere raggiunto nella terza settimana del Giro: quella cruciale. Qualche numero del suo avvicinamento? Dal 1° dicembre al 26 aprile, Vincenzo ha percorso 12.400 chilometri in 395 ore e 50 minuti, pedalando a circa 31 km/h di media. Al Tei­de, ultimo ritiro (dal 31 marzo al 15 aprile, ndr) si è allenato 12 giorni, gli altri sono due di viaggio e due di riposo assoluto. Ha percoso 1.336 km in 51 ore e 29 minuti con un dislivello, in 12 giorni, di 74.098 metri. L’allenamento più lungo sul Teide è stato di 6.46’ con 4.855 metri di dislivello e qui mi fermo, perché non posso dirti di più».

Erano anni che Vincenzo non affrontava un in­verno così sereno. Ha recuperato energie nervose, si è ritrovato in fa­miglia, concedendosi pochissimi im­pegni. Tra la casa di Lugano e quelle dei suoceri vi­cino a Fiuggi e dei genitori a Mes­sina.
«Lo sanno tutti ormai: i suoi appuntamenti più importanti sono il Giro e le Olimpiadi di Rio - spiega Slongo -. Se tutto andrà come previsto, si correrà anche il Tour, in funzione Rio, proprio perché sia il Giro che la Grande Bou­cle hanno inizialmente tracciati non impegnativi come in passato. E questo ha inciso sulla scelta di andare al Tour. Perché una Grande Boucle durissima sin dall’inizio l’avrebbe convinto a fare diversamente: invece così ci sarà, pur con la corsa rosa nelle gambe. Vin­cen­zo ha cominciato questa stagione con un peso che era quasi for­ma. Stava mol­to bene. Questo grazie anche ad una dieta chetogenica: si basa su un’alimentazione ad alto contenuto di grassi e proteine, abbandonando quasi del tutto i carboidrati, per obbligare l’organismo in questo modo a bruciare i grassi. Poi quest’inverno ha svolto an­che un lavoro prezioso in pa­lestra ed era dal 2012 che non sosteneva un ritiro fin da febbraio. Insomma, abbiamo davvero lavorato tanto, arrivando a svolgere lavori di sei ore con wattaggio medio simile a quello di una corsa. Tra le novità? Intanto la pedivella, più lun­ga. Da 172,5 a 175. Ormai Vincenzo è un atleta maturo, forte e formato e può spingere leve che possono produrre più potenza. Certo, non è l’ideale per scattare ma lui è un uomo da corse a tappe, che deve fare tutto un altro tipo di lavoro. Il telaio è sempre 56 x 56, ab­biamo solo avanzato di poco la sella. E per la posizione a cronometro, sono state alzate di un centimetro le protesi del manubrio, ma anche al­largato di qualche millimetro l’impugnatura, in modo da comprimere meno lo sterno e avere una migliore respirazione».

Slongo racconta Vincenzo con cura e attenzione, anche se si percepisce chiaramente che non può dirci tutto. Il suo è un volo ampio nel pianeta Nibali, con alcune piccole soste nel “particulare”.
«Abbiamo fatto anche parecchi allenamenti mirati con sprinter in sequenza per migliorare la potenza massima. Una serie di cinque sprint partendo da fermo con il 53 x 15 e facendo 15/20” a tutta. Poi un minuto e mezzo di recupero e una nuova serie di sprint. È un lavoro che fa bene e allena la forza mas­­sima. Atleti come Nibali, che han­no più fibre rosse, quelle di resistenza, rispetto a quelle bianche, hanno bisogno di “risvegliare” certe fibre. Atleti come lui hanno meno fibre bianche e soprattutto queste non vengono mai sollecitate. Bene, il lavoro svolto serve a stimolare le fibre che generalmente non si usano ma che in momenti di grande fatica e massimo sforzo, se sollecitate, possono tornare utili».

Inutile chiedere a Slongo se ha raccolto altro materiale importante sui grandi rivali di Vincenzo.
«Ho una banca dati molto ampia e sem­pre più ricca, fatta di filmati che vanno a studiare e valorizzare le caratteristiche tecniche di ciascun atleta. Per quanto riguarda Froome, ad esempio, non ci siamo soffermati solo e soltanto sulle sue or­mai celebri frullate, ma abbiamo studiato anche il suo comportamento tattico. Qua­si mai fa il primo scatto. Anzi, spessissimo lo subisce, arretra e sembra pagare, poi rientra. Generalmente lui si muove dopo aver subito due/tre progressioni e quando parte è letale. Quali sono le conclusioni che ne abbiamo tratto? Mi chiedi troppo. For­se è il caso di pazientare un po’ e di ve­dere all’opera Vin­cenzo. Forse, se tutto an­drà come pensiamo possa andare, lo vedrete bene con i vostri occhi».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di maggio
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