LA ROUBAIX DI GIMONDI E QUELLA DI NIBALI CHE NON C'È

PROFESSIONISTI | 09/04/2016 | 10:56
Andava come un treno in quella primavera del 1966, che era anche la sua primavera di uomo e di atleta, visto che Felice Gimondi da Sedrina era appena sbocciato come un giovane virgulto nel panorama del ciclismo mondiale. Andava come un treno Felice, sbuffando e ansimando come pochi, ma veloce come nessuno. Come un Merckx di cui non si conosceva ancora l’esistenza, fin quando il mondo lo conobbe e Felice finì di esserlo. Andava come un treno, lui che una Parigi-Roubaix la perse per un passaggio a livello che lo fermò sul più bello, quando era lanciato verso un fantastico bis nella “regina delle classiche”. Ma in quel 1966 come un treno andò per davvero, lasciandosi tutti alle spalle, uno ad uno, in una giornata da tre- genda e leggenda, che ancora oggi a cinquant’anni di distanza ricorda.
«Cosa mi ricordo di quel giorno? Il fango, un mare di fango – ci racconta uno dei più grandi corridori italiani di tutti i tempi –. Ma anche il gelo, che però non m’impediva di stantuffare sui pedali come pochi. I guanti bucati per lo sfregamento continuo e costante, ma anche per via di quella miscela di acqua e polvere di carbone che mangia tutto e piaga anche la pelle. Ero al mio secondo anno da professionista, avevo al mio attivo già il Tour de France e il mondo mi guardava come l’astro nascente. Vinsi quella Roubaix con forza e determinazione. Scattai a Mons-en-Pévèle. In fuga c’era un belga, Michele (Dancelli, ndr) partì deciso e io mi accodai, riprendemmo l’attaccante e a quel punto andai via io deciso come pochi. Gli ultimi 43 km li feci da solo».

Sono passati cinquant’anni da quell’impresa, che poteva essere non isolata, se solo non avesse trovato a un certo punto del suo cammino le sbarre di un passaggio a livello abbassate. «Penso che fosse il ’68, fatico a ricordare bene, ma quell’anno ero davvero in grande condizione – ci racconta Felice che la Roubaix la corse cinque volte: un solo ritiro, poi una vittoria, un quarto, un ottavo e un 20° posto –. Mordo il manubrio, mangio la strada. La Roubaix corsa estrema, unica nel suo genere, per questo affascinante. Bisogna avere forza e leggerezza, tenacia e fortuna. Senza la fortuna, in particolare alla Roubaix, non vai da nessuna parte. Questa è la corsa dei pericoli, dei tanti e continui trabocchetti: occhi ben spalancati per evitare le cadute, le buche, le pozze d’acqua che nascondono voragini. Oppure il fango e poi quelle pietre, a schiena d’asino, levigate e carogna. La regola è stare davanti, sempre e comunque, per affrontare meglio i settori di pavé, vedere la strada e scegliere la traiettoria migliore. Bisogna essere bravi, ma anche fortunati. Perché io in quella Roubaix del ’68 bravo lo ero stato, tutto solo con 300 metri di vantaggio a 30 dal traguardo. Trecento metri sembrano pochi ma in una corsa così non lo sono affatto, diventano un’eternità e per me che ero un grande passista erano il giusto necessario per lasciarmi tutti dietro. Peccato che poi mi trovo le sbarre di un passaggio a livello giù e vengo ripreso. Addio bis».

Era giovane Felice Gimondi, ma dei giovani parla con ammirazione. «Oggi vanno applauditi di più che un tempo, perché noi con la bicicletta abbiamo combattuto la fame, conquistato il benessere. Oggi i ragazzi hanno tutto e rinunciano al benessere e alla vita comoda per fare una fatica boia. Prendete Peter Sagan: potrebbe fare tutt’altro, invece fa maledettamente bene quello che fa. Ha la maglia iridata di campione del mondo sulle spalle. Ha vinto la Gand-Wevelgem e domenica scorsa il Fiandre. Alla Roubaix (si corre domani la “regina delle classiche”, ndr) sarà lì a lottare con i migliori e con il migliore di tutti: Fabian Cancellara, che è ai titoli di coda (a fine stagione si ritirerà, ndr) e insegue un fantastico poker, al pari di Roger De Vlaeminck e Tom Boonen. Gli italiani? Il più bravo di tutti non ci sarà: io Nibali lo vedrei bene in una corsa così, ma capisco lui che deve sottostare al parere dei suoi tecnici, ma sono loro che fatico a capire. Forse comincio ad essere troppo vecchio, oppure sono troppo avanti». Come in quella primavera del 1966.

Pier Augusto Stagi
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COMMENTI
Giusto!
9 aprile 2016 12:47 geo
Ha ragione Felice, Nibali potrebbe correre e vincere la Roubaix

9 aprile 2016 13:24 foxmulder
Mi sorprende che Gimondi possa pensare che i 64kg di Nibali potrebbero ben figurare nella classica del pavé. Il siciliano ha dimostrato di andare forte sulle pietre, ma disputare l'intera gara con tutti i settori credo sia un'altra cosa rispetto alla tappa disputata al Tour. Però, siccome sono sicuro che Gimondi sa di quello che parla, sarei curioso di approfondire le sue argomentazioni.

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