
Christian Prudhomme è il numero uno del Tour de France, ma il suo non è un mestiere che si improvvisa e bisogna studiare bene ed essere bravi se si vuole essere al comando della corsa più importante del mondo.
Prudhomme, il suo mestiere ha imparato bene a farlo e non a caso tiene conto della storia della corsa, radicando la sua leggenda, considera molto l'evoluzione del ciclismo, si preoccupa della sicurezza dei ciclisti e crea percorsi accattivanti.
Nato a Parigi nel 1960, prima di diventare direttore generale del Tour de France nel 2007 Prudhomme è stato giornalista ed è proprio per questo che sa quanto sia importante la comunicazione e il ruolo dei media in un evento così grande. Ha studiato giornalismo a Lille, città che ospita la Grand Depart del Tour di quest’anno e per tanti anni, è stato uno dei volti de l’Equipe Tv e France Television.
«Immaginare il Tour è soprattutto esaltante – ha detto Prudhomme a Lille in un incontro con la stampa francese - Pensare a un percorso, scoprire nuovi luoghi, valutare le sfide che potrebbero presentarsi sapendo di avere di fronte una lavagna su cui nulla è scritto in anticipo. A volte, quando immaginiamo un percorso, ci diciamo che questo e quello potrebbero accadere».
Per svolgere il ruolo di direttore generale della corsa gialla, bisogna conoscere bene i luoghi e i corridori e cercare di capire, quale percorso potrebbe stimolare scalatori e velocisti, senza mai dimenticare la storia.
Il duello Pogácar-Vingegaard non lo stanca mai e a suo avviso impreziosisce l'evento e ricorda le grandi battaglie del passato. Anche le partenze dall’estero, secondo Prudhomme non sono sempre necessarie e partire dalla Francia ha sempre fascino e ricorda da dove tutto è cominciato, perché senza la Francia non ci sarebbe il Tour.
«Il fatto che si parta dalla Francia non significa che sarà più facile. La prima settimana è tutta un inganno. Se qualcuno non segue il Tour da anni e guarda il percorso, potrebbe pensare che avremo sette tappe per i velocisti nei primi otto giorni. Questo tracciato potrebbe sembrare quello degli anni '90, ma in realtà avremo solo quattro arrivi per i velocisti. Il Tour è cambiato nel corso degli anni; cerchiamo di confondere le situazioni, anche quando il percorso sembra ben noto. Abbiamo scelto di concentrarci su salite brevi ma ripide per tutta la prima settimana, piuttosto che puntare sul pavé, e le difficoltà non mancheranno».
Il numero uno del Tour ama un percorso che nella sua totalità soddisfi tutti i corridori, quindi sprinter, scalatori ed attaccanti, perché se così non fosse, non si avrebbero così tanti campioni al via. Per Prudhomme infatti, la Grande Boucle, oltre ad essere la vetrina più importante del mondo per il ciclismo, ha anche la capacità di conquistare corridori e pubblico per le caratteristiche del suo percorso.
«Facciamo di tutto per rendere la corsa il più interessante possibile. La tappa di Tolosa sarà la più emblematica per me perché abbiamo un tratto finale collinare con la salita di Pech David a otto chilometri dal traguardo, con tratti al 20%. Quindi quel giorno, come protagonisti ci saranno Jasper Philipsen o Mathieu Van der Poel o anche Van Aert e tutti quelli che avranno voglia di scommettere su questo percorso».
Le grandi sfide appassionano il pubblico: per il direttore del Tour questo ingrediente non deve mai mancare e le sfide tra Pogacar e Vingegaard non stancheranno mai.
«Nelle ultime cinque edizioni, il bilancio è di 3 a 2 per Tadej Pogacar, e speriamo di rivedere la sfida contro Jonas Vingegaard. Deve solo durare un po' più a lungo del giro di boa del Tour de France, a differenza dell'anno scorso. Il nostro ruolo, ripeto, è cercare di creare suspense fino alla fine. ll duello tra campioni è sempre esistito e lo vogliamo sempre. Lo abbiamo visto con Coppi e Bartali, Anquetil e Poulidor, Merckx e Ocana, oppure Merckx e Thévenet. Se dovessimo fare un paragone con il tennis, non credo che abbiano mai stancato gli scontri tra Nadal, Federer e Djokovic».
Quest’anno ci sarà l’arrivo a Montmartre e non la classica passarella per velocisti sugli Champs-Élysées e questa scelta ha reso un po’ di scontenti i velocisti. «Montmartre per me rimane una delle immagini più suggestive dei Giochi dello scorso anno e penso che sarebbe stato un peccato perderla. Credo che sia qualcosa che mancava al Tour. C'è sempre una folla enorme sugli Champs-Élysées, centinaia di migliaia di persone, ma parliamo di un luogo molto ampio e gli alberi nascondono gli spettatori. A Montmartre c'è invece quella vicinanza, quella che si prova in tutta la Francia durante il Tour. Quindi sarà una meravigliosa eredità dei Giochi».