PROFESSIONISTI | 27/03/2016 | 17:45 PAVULLO (MO) La sua migliore difesa è l’attacco, ma anche la difesa dell’attacco, il suo migliore attacco è l’attacco dell’attacco. Se fosse un calciatore, sarebbe un attaccante, e se fosse un attaccante, sarebbe un centrattacco. Attacca per natura, istinto, carattere. Attacca da lontano e da vicino, in salita e in discesa, da solo o in compagnia. Attacca per stancare, staccare e distaccare. E attaccando e riattaccando, Stefano Pirazzi ha trionfato nella quarta e ultima tappa della Settimana internazionale Coppi e Bartali.
Pirazzi ha un cognome (Stavazzi, Finazzi…) che sembra tratto da una vignetta di Altan, ventinove anni che rappresentano – almeno loro – la maturità ciclistica, un’origine laziale – nascita ad Alatri, casa a Fiuggi - che significa terra e terme, un fan club che è entrato nella storia per lo slogan “Tutti pazzi per Pirazzi”, e un’indole, un destino, una carriera da attaccante. “I primi anni da professionista, quando attaccavo, venivo insultato. Adesso, quando attacco, sono più conosciuto e rispettato”. C’è attacco e attacco. “Ma ogni volta che attacco, lo faccio convinto di arrivare al traguardo”. Questa, in sette anni di professionismo, è soltanto la seconda vittoria: la prima al Giro d’Italia 2014, a Vittorio Veneto, quando giunse al traguardo esibendo il gesto dell’ombrello. “Stavolta ho smesso di pedalare a 100 metri dal traguardo per gustarmi la vittoria”. Per evitare colpi di testa, ha alzato tutte e due le braccia al cielo.
Pirazzi è quello che “il ciclismo è al 40 per cento gambe e al 60 testa”, e spiega che “oggi le prime due salite ho fatto fatica, ma ho tenuto duro, e poi ho attaccato”. Pirazzi è quello che “la bici è libertà”, e spiega che “per me la libertà significa attaccare”. Pirazzi è quello che “ringrazio i Reverberi e la squadra”, e spiega che “stamattina i Reverberi mi hanno detto, anche se non ce n’era bisogno, di attaccare”. Pirazzi è quello che se fosse un direttore sportivo “uno come Pirazzi lo prenderei subito in squadra”, e spiega che “a uno come Pirazzi direi di fare e andare dove lo porta il cuore, cioè all’attacco”. Pirazzi è quello che ammette “avevo bisogno di questa vittoria”, e spiega che “mi alleno bene, sono perfino più magro di un anno fa perché ho ridotto le quantità, e la Nutella dipende, ma purtroppo nelle corse si parte in 200, e tutti hanno la stessa voglia e gli stessi diritti, ed è per questo che io vado all’attacco”. E sarà anche per questo che, all’arrivo, Pirazzi è stato accolto da un’ovazione, un’acclamazione, un boato, come se la gente di Pavullo si fosse moltiplicata in folla, popolo, mondo.
Al russo Sergey Firsanov la classifica generale e quella della montagna, a Mauro Finetto la classifica a punti, al colombiano Egan Bernal la classifica dei giovani. Ma Pirazzi, per un giorno, si è divorato tutti i corridori e tutte le classifiche.
Fin da under era un corridore che non aveva paura di andare in fuga fin dai primi km e una volta ripreso finiva comunque le corse, quindi lo spessore lo ha sempre avuto. Complimenti Stefano
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