PROFESSIONISTI | 21/01/2016 | 07:44 Marco Marzano, classe 1980 milanese di Nosate, ciclista professionista dal 2004 al 2012, e attualmente direttore sportivo alla Lampre-Merida, è entrato a far parte lo scorso mese del consiglio direttivo dell'ADISPRO, subentrando al dimissionario Alberto Volpi, che ha suo malgrado dovuto lasciare l’incarico da quando è salito sull’ammiraglia della Skydive Dubai Pro Cycling Team degli Emirati Arabi Uniti. Dal milanese, che in carriera vanta tra l’altrola maglia rosa al Giro d’Italia dei dilettanti nel 2004 con la casacca della Ceramiche Pagnoncelli, ci facciamo spiegare il suo nuovo ruolo.
«Nella riunione annuale che abbiamo avuto il mese scorso c’era da sostituire Alberto Volpi e mi hanno proposto di prendere il posto vacante, visto che nella votazione dell’anno precedente ero risultato il primo dei non eletti. Ho accettato volentieri l’incarico ed entrerò a far parte del consiglio in “punta di piedi”: prendo il posto di Volpi che è stato uno dei fondatori dell’ADISPRO, un diesse che ho sempre rispettato moltissimo e che è sempre stato all’avanguardia, molto attento allo sviluppo dei giovani».
Sei “fresco” dal cambio di ruolo, con il passaggio da corridore all’ammiraglia: quali sono le cose che più di tutte ti hanno colpito nel nuovo lavoro? «Più di ogni cosa, da quando io correvo ad oggi sono cambiate le richieste dei corridori, nel senso che vogliono essere sempre molto informati e aggiornati su tutti i dettagli delle varie corse. Di conseguenza oggi un direttore sportivo deve essere in grado di fornire queste risposte, di supportare i corridori nelle loro richieste e per farlo il segreto è uno solo: stare sempre aggiornati e al passo con la tecnologia. Il tutto cercando di molto pronti ad imparare dai tecnici più esperti che hanno sempre qualcosa da insegnarti. E soprattutto bisogna imparare dalla realtà degli altri team, stranieri in particolare, che sono sempre all'avanguardia sia nelle piccole che nelle grandi cose, dallo studio dei percorsi alle analisi dei diversi aspetti della corsa e della vita del corridore. Alla Lampre Merida, ad esempio, abbiamo creato dei mini gruppi all’interno della squadra e ogni direttore sportivo si concentra su 5/6 atleti e allo stesso tempo c’è un medico di riferimento per questi corridori; in questo modo abbiamo sempre sotto controllo ogni singolo atleta e, grazie alle email tutti i diesse vengono tutti informati della situazione di ogni atleta, e così i corridori vengono seguiti passo per passo durante tutta la stagione. Questo metodo di lavoro lo abbiamo provato lo scorso anno su indicazione del nostro team manager Brent Copeland che aveva visto questa tecnica sviluppata da alcuni team stranieri e ci siamo trovati molto bene. come hanno dimostrato i risultati, visto che nel 2015 abbiamo portato al successo ben sedici atleti diversi».
Che cosa non ti saresti mai aspettato di trovare quando hai cambato barricata? «Sinceramente quando correvo io, che non è poi così lontano, mai mi sarei aspettato un’organizzazione così complessa all’interno di un team; oramai si parla di vere e proprie aziende, dove certi passaggi devono essere dettati da organigrammi interni nei quali ognuno occupa un ruolo ben definito e deve essere pronto ad operare nelle sue specifiche competenze».
Veniamo al tuo impegno all’interno di ADISPRO: sei ottimista o pessimista riguardo al futuro dei direttori sportivi in particolare e del ciclismo italiano in generale? «Di natura penso sempre al bene fino all’ultimo, sono un po’ testone e ci credo fino in fondo. L’auspicio più grande è quello della nascita di un altro team di World Tour in Italia, cosa che creerebbe nuovi posti di lavoro. Il problema secondo me è che noi italiani, parlo sia per quel che riguarda i corridori che i direttori sportivi, siamo sempre stati abituati a vivere in un ambiente ricco di team per cui se finivi un contratto ne trovavi subito un altro, senza cambiare nazione e quindi ti rapportavi quasi esclusivamente con corridori e staff italiani. Ora le cose sono profondamente cambiate e se non conosci bene almeno la lingua inglese fai fatica a trovare un posto nei team: prendete ad esempio la Lampre Merida, oggi in squadra dove ci sono 10 italiani e 15 stranieri, una volta era il contrario, anzi gli stranieri erano davvero molto pochi. Noi abbiamo la fortuna di poter svolgere un lavoro che è innanzitutto la passione di una vita intera e dobbiamo essere consapevoli che per restare a galla e ander avanti bisogna assolutamente stare aggiornati e al passo con i tempi».
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