CASO SONNIFERI. Simonetto: il medico è declassato

PROFESSIONISTI | 29/12/2015 | 09:24
La confessione di Luca Paolini e le rivelazioni del dottor Massimo Besnati hanno sollevato il coperchio su un caso molto complesso, quello dell'uso e dell'abuso di sonniferi, non vietati dalle norme antidoping, per regolare il riposo.
Abbiamo chiesto chiarimenti al dottor Luigi Simonetto, presidente della Commissione Tutela Salute della Federazione Ciclistica Italiana: queste le sue profonde riflessioni che mettono in risalto un altro aspetto del problema, quello del ruolo del medico all'interno della squadra.


Il ricorso ai tranquillanti, o agli induttori del sonno, così come quello dell’assunzione di analgesici, rappresenta oggettivamente un problema e costituisce un chiaro segno della attuale complessità che caratterizza la gestione di un atleta, soprattutto se di categoria elite o professionista.

Infatti l’esigenza di individuare “che cosa mi fa andare più forte”, senza necessariamente far riferimento a sostanze proibite, è sempre più superata dalla esasperazione del concetto che ogni aspetto del profilo fisico e psichico dell’atleta di alto livello deve essere governato e controllato; allenamento, pianificazione del calendario, motivazione, alimentazione, recupero dello sforzo, sopportazione della fatica e del dolore, gestione dell’ansia di gara o di prestazione, qualità del sonno, ecc. rappresentano sempre di più specifici ambiti di attenzione e supporto all’atleta.

Per certi versi il problema del doping costituisce una scorciatoia nella soluzione di tutte queste esigenze; se risolvo il problema di come andare più forte posso non essere così rigoroso nel gestire tutte le altre esigenze.

Il contrasto al doping e l’oggettiva regressione, almeno in ambito professionistico, del ricorso a tale pratica sta amplificando queste esigenze o abitudini correlate peraltro ad elementi di estrema pericolosità, soprattutto quando la gestione di alcuni problemi è affidata all’assunzione di farmaci, ancorchè non facenti parte della lista delle sostanze proibite. Ma un farmaco non proibito per aspetti di doping non significa che non sia dannoso o pericoloso per la salute e l’integrità psicofisica di un atleta.

Il caso in questione (caso Paolini) è rilevatore anche di quanto, in ambito ciclistico, sia oggi labile il rapporto medico-atleta. Il medico dovrebbe essere il referente indiscusso per la gestione di ogni aspetto relativo a problematiche fisiche, ed anche psichiche, di un atleta di alto livello; non vi è dubbio che l’assunzione di ogni tipo di farmaco, ancorchè lecito, dovrebbe avvenire non solo mettendone a conoscenza il medico ma anche unicamente sotto la sua autorizzazione.

Ma molti aspetti, in questi ultimi anni, anche in ambito professionistico, hanno contribuito a indebolire la figura del medico nel contesto ciclistico e sportivo in genere. Fino a non molto tempo fa, esaurita la fase storica del massaggiatore factotum, nel bene e nel male l’atleta vedeva nel medico il referente unico al quale far riferimento per i suoi problemi fisici, e non solo.

Oggi una moltitudine di soggetti, dalle competenze più svariate, ruotano attorno ad un atleta di alto livello e non sempre costoro hanno realmente specifiche competenze e, se le hanno, non sempre sono accompagnate da rigore professionale , dal momento che spesso non hanno realizzato alcun percorso professionale.

Nutrizionisti, psicologi, motivatori, biomeccanici, preparatori atletici, ecc formano oggi il pool di assistenza all’atleta, senza che vi sia un reale e serio coordinamento.

Tale ruolo non appartiene più da tempo al direttore sportivo e non appartiene più, ammesso che lo sia stato in passato, neppure al medico.

Se nel ciclismo professionistico attuale un medico dice ad un suo atleta che non deve assumere certi farmaci e non viene ascoltato, significa che il problema non si risolve attendendo quell’atleta al varco dei controlli antidoping, ma affrontando con criteri più adeguati il problema della governance della salute nella pratica sportiva. Non basta avere in squadra un medico se poi tale figura non ha ruolo reale ma spesso solo di facciata o il suo ruolo è solo confinato alla cura degli acciacchi perché altri consigliano e, sia pure informalmente, prescrivono.

Sempre più sta prendendo piede un modello a compartimenti stagni, frutto dell’entrata in gioco di profili nuovi e diversi, che delimita le varie sfere di competenza ma troppo spesso senza un necessario coordinamento.

Questo modello è un modello perdente, per l’atleta ma anche per tutto il movimento ciclistico; perdente culturalmente prima ancora che organizzativamente e operativamente.

Luigi Simonetto
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COMMENTI
mi permetto.........
29 dicembre 2015 13:37 passion
.....mi permetto di far rilevare che anche in altri ambiti che non siano quello sportivo, i diversi professionisti (seri), come possono essere nello sport, l'allenatore, il nutrizionista, il medico, il motivatore e quanti altri, coordinano le proprie competenze sulla base di eventuali interazioni che potrebbero esserci con aspetti curati da altri. Quando gli aspetti curati da ognuno, sconfinano in altre materie e interessano altre figure, queste ultime vanno coinvolte e messe al corrente. Credo che tutto questo nei grandi team dovrebbe esistere, il problema sorge quando a prendere alcune malsane decisioni sono gli atleti stessi o alcuni tuttologi che ancora credono di sapere tutto di tutto. Molti praticoni, grazie al sentito dire e alla loro presunzione, pensano di essere capaci e al corrente di tutto e non pensano ai danni che potrebbero provocare all'atleta e allo sport intero. La mia non vuole essere una puntualizzazione solo sul mondo professionistico, ma un rilievo che va allargato anche alla base dove i danni potrebbero essere anche maggiori.

Direttori Sportivi
29 dicembre 2015 14:09 drinn
Molto importante il riferimento alla figura dei Direttori Sportivi che hanno perso nel tempo la loro figura di selezione e coordinamento di tutte le persone che ruotano intorno agli atleti. Il contributo dei Direttori Sportivi nel crerare un atteggiamento di stima e fiducia tra atleta e medico è importante e permette di costruire un rapporto serio e professionale.
Purtroppo il Direttore Sportivo molto spesso fa parte di quei "compartimenti stagni" che non favorisco i rapporti interpersonali nel team.
Roberto Damiani

Rimettere l'Uomo al centro dei team e non le tecnocrazie!
29 dicembre 2015 18:27 Bartoli64
Premetto che non sono un “fan” del Dott. Simonetto, anche perché non ho mai condiviso certe sue decisioni assunte in qualità di responsabile del settore medico della FCI, però il quadro che espone in questa intervista è ben difficilmente confutabile ed al posto suo avrei risposto le stesse identiche cose, anche perché ha disegnato benissimo quella che è la realtà attuale nei team per quel che riguarda la gestione psicofisica degli atleti, in poche parole: UN GRAN CASINO determinato da un intreccio di competenze, spesso in antitesi tra loro, dove talune nuove professionalità sono tutte da dimostrare ed i risultati sono talvolta al limite del paradossale.

Non voglio fare esempi in tal senso, anche perché non mi va di mettere nessuno sotto la gogna dell’imbarazzo, ma basta leggere un po’ le cronache di questo sport sulla stampa specializzata per trovare svariati esempi di questi “pseudo tecnici” i quali, mettendo le mani sugli atleti, hanno causato non pochi danni (anche con nomi altisonanti).

Sono dunque queste le conseguenze che il “progresso”e la “scienza” hanno portato nel ciclismo?
Per fortuna no, nel senso che l’innovazione e la ricerca hanno portato anche cose buone. Resta però da valutare per bene quanto sia il “costo” che il progresso si porta inevitabilmente con sé.

Eh, si, perché la spinta al risultato (chiaramente determinata dai tanti soldi che hanno cominciato a girare nell’ambiente ciclistico d’elite) sta di fatto facendo finire gli atleti in un vero e proprio “tritacarne” da dove si tenta di tirare fuori tutto dai corridori, dimenticando però che i corridori NON sono carne da macello e tantomeno dei supereroi, bensì esseri umani che - sia pur di una specie rara - hanno comunque i loro umanissimi limiti.

Per questo è assolutamente SACROSANTO che sia il medico - e solo il medico - al centro della gestione psicofisica degli atleti ed è con lui che debbono rapportarsi tutti gli altri tecnici del team (dietologi, preparatori atletici, fisioterapisti e psicologi) e NON il contrario!

Ha dunque ragione piena il Dott. Simonetto a denunciare la delegittimazione dei medici (almeno di quelli che lavorano ancora con il dogma di “Scienza e Coscienza”), ma quanti team avranno l’onestà di capirlo rispettando gli atleti che hanno sotto contratto come uomini prima ancora che come macchine da corsa?

Da appassionato di ciclismo dico che NON VOGLIO PIÙ VEDERE CASI COME QUELLO DI LUCA PAOLINI!!

Perché è semplicemente INACCETTABILE far finire nell’oblio una carriera come quella del corridore lombardo che invece, già da dilettante, seppe dimostrare all'intero mondo ciclistico come, molto prima del campione, ci fosse sempre l’UOMO; vale a dire quell’entità che lo sport professionistico tende sempre più a sacrificare in favore di uno spudorato profitto subdolamente celato dietro la solita parola che cervelli sempre più lobotomizzati chiamano invece “progresso”.

Bartoli64

@Bartoli64
29 dicembre 2015 22:50 Melampo
Chapeau ...

cosa c\'entra
30 dicembre 2015 00:54 IngZanatta
Ottimo ed equilibrato l\'intervento del dott. Simonetto,ma cosa c\' entra con il caso Paolini? Qui siamo di fronte ad un corridore che, dal 2013 in poi, dopo alcuni anni anonimi, consegue importanti risultati, viene trovato positivo alla coc@ e dopo qualche mese dice che il suo problema non e\' la coc@,ma la dipendenza da sonniferi. E tutto ciò sarebbe accaduto perché la figura del medico non e\' più centrale come una volta? Mah, speriamo si faccia chiarezza fino in fondo è soprattutto che NON si usino due pesi e due misure.

@Bartoli64 ............
30 dicembre 2015 09:04 passion
....... mi sento di condividere appieno le tue considerazioni, ritenendole un completamento alle mie, soprattutto quando affermi che la professionalità di un medico, comunque esperto, preparato, coscienzioso ed io aggiungerei appassionato, è la figura migliore per coordinare tutti gli aspetti legati alla salute psicofisica dell'atleta. Ritengo infine particolarmente valida la tua ultima affermazione riguardo alla facilità con cui oggi si possa valutare in maniera errata la storia complessiva di un uomo e di un atleta, vittima di un sistema e di un'organizzazione che mette l'uomo-atleta all'ultimo posto, considerandolo solo e tristemente un mezzo per raggiungere obiettivi che poco o niente hanno a che vedere con lo sport. QUANDO UN ATLETA SBAGLIA DEVE PAGARE, MA SPESSO SI FA DI TUTTO PER INDURLO A SBAGLIARE.

Tante parole, per carità,
30 dicembre 2015 10:50 Fra74
pure giuste, logiche e corrette, ma invito, altresì, il Dott, Simonetto, se fosse possibile, a delucidarmi meglio in merito a quanto segue, alle presenti domande che non hanno ancora trovato una risposta:
""E' CORRETTO PARLARE DI SONNIFERI COME DI STIMOLANTI? QUALI SONO GLI EFFETTI, RELATIVAMENTE AGLI STIMOLANTI, RICERCATI NELLO SPORT?
E' VERO CHE l’uso di stimolanti nello sport risponde ad esigenze legate all’aumento della capacità di concentrazione, alla riduzione del senso di fatica e in generale all’aumento dell’aggressività e della competitività?
Gli stimolanti sono sostanze attive sul sistema nervoso centrale accomunate dalla preminente azione eccitante?
Inoltre, la sostanza assunta dal Sig. Luca Paolini, come da Lui stesso dichiarato, ha l'effetto di uno stimolante ed aiuta a dimagrire? Oppure può essere un elemento considerato a "copertura" di altri prodotti?".
Inoltre, Dott. Simonetto, ad onor di cronaca, Le ricordo che pure l'ex-prof. GRAZIANO GASPARRE, alcuni anni or sono, ammise l'uso della stessa sostanza utilizzata dal Sig. LUCA PAOLINI.
Grazie.
Francesco Conti-Jesi (AN).

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