SAGAN. NEL MONDO DI PETER - 2

PROFESSIONISTI | 29/11/2015 | 07:20
Seconda puntata nel mondo del campione del mondo. Dopo Enrico Zanardo, è Roberto Amadio - suo team manager prima alla Liquigas e poi alla Cannondale - a raccontarci Peter Sagan.

Arriva la prima corsa del 2010, il Tour Down Under, e Sagan in maglia Li­qui­gas nella prima tappa si stampa contro le transenne in volata. Braccio sinistro a brandelli, ricucito sul posto con trenta punti di sutura. Peter sul lettino ha una sola domanda per il dottore: “Io domani start?”. Parte, va in fuga con Armstrong e finisce quarto. Non ha an­cora 20 anni. E meno di due mesi più tardi, ad Aurillac, terza tappa della Parigi-Nizza, centra la prima delle sue 75 vittorie.

Ricordi la prima volta che l’hai conosciuto?
«Certo - risponde Roberto Amadio -. L’ho incontrato quando aveva 19 anni. Era già un ragazzo con le idee mol­to chiare, mi stupì perché era la prima volta che avevo a che fare con un neoprof che aveva già uno staff di persone che lo seguivano, un’agenzia che curava i suoi interessi e la sua immagine, mi è parso molto concreto. Dopo un anno con i dilettanti in Italia, ha fatto il grande salto nel mondo del professionismo con noi nel 2010. Ci siamo subito resi conto che era un fenomeno, ricordo la telefonata di Mariuzzo dal­l’Australia: “Questo va davvero forte, dobbiamo pensare a un discorso a lun­go termine”. Dopo metà anno stavamo già trattando per un prolungamento di contratto perché volevamo proseguire assieme la strada intrapresa. Abbiamo subito trovato l’accordo perché Peter è un ragazzo a cui non serve raccontare storie, ha sempre saputo dove voleva arrivare e come riuscirci».

Cosa ha imparato alla vostra corte?
«Ad essere un professionista, la nostra era una squadra nella quale, grazie ai direttori sportivi, al personale, allo staff si insegnava come si fa il corridore, la lista dei ragazzi nati con noi che si sono affermati a livello mondiale è lunga. Nibali ha corso con noi sette ann­i, oltre a lui basti pensare a Kreu­ziger, Oss, Quinziato... I risultati che sta ottenendo Peter sono nelle sue qualità ma un po’ di merito è giusto tributarlo a chi gli ha dato fiducia all’inizio e lo ha supportato al meglio, senza spremerlo. Per lui abbiamo impostato un programma adeguato. Nei primi due anni non ha partecipato a nessun grande giro, lo abbiamo gestito come un ventenne promettente qualunque, al di là delle sue evidenti qualità. Non ce ne siamo approfittati per spingerlo subito a ottenere risultati importanti, ma ab­bia­mo optato per una crescita graduale che gli permette ora di avere davanti a sé ancora molti anni ad alto livello. L’unico rammarico sia mio che suo, ne abbiamo parlato anche al mondiale visto che eravamo nello stesso hotel, è che ci è mancata la vittoria di una classica con la maglia Liquigas Cannon­da­le. Ci siamo arrivati vicini al Fiandre e alla Sanremo ma per vincere le corse monumento serve esperienza e anche un pizzico di fortuna, comunque con noi è cresciuto e ha ottenuto i primi risultati da campione. Sia per noi che per lui i cinque anni trascorsi insieme, dal 2010 al 2014, hanno rappresentato un’esperienza importante e positiva».

Sapevi che un giorno sarebbe diventato campione del mondo?
«Sì, ma non perché sia un veggente. Il suo talento è lampante. Stiamo parlando di un corridore che può vincere qualsiasi tipo di corsa dalla Sanremo alla Liegi, sì può arrivare a far sua an­che la “decana delle classiche” perché con gli anni è migliorato in salita, ricordiamoci che ha vinto al California una tappa che presentava una salita in cui le bici montavano il 27... Non ha limiti, il suo futuro dipende tutto dagli obiettivi che si porrà, sta a lui averli chiari in testa e darsi sempre nuovi stimoli. Il suo unico limite può essere se stesso, ma la voglia di vincere non gli manca quindi sono più che fiducioso che lo aspetti un futuro importante. Al mondiale tifavo Italia perché tra gli azzurri c’erano tanti miei corridori, avevo la speranza che ce la facessero, ma l’azione di Peter ha reso felici tutti. Ne avevamo parlato nei giorni precedenti, vedere trasformate in azione le sue parole, è stata una bella soddisfazione. Chapeau».

È riconoscente?
«Molto, pensate che anche ora che la nostra squadra non esiste più a fine stagione ci ritroviamo tutti. Quando gli ho detto che il 29 ottobre i miei ex diesse assieme al personale e ad alcuni atleti ci saremmo riuniti per una partita di calcio e una cena e sarebbe stato bel­lo averlo con noi, mi ha subito risposto “ci sarò”. Nonostante l’avventura del nostro team è finita continuiamo questa tradizione di fine anno che dimostra quanto quel gruppo speciale è ri­masto legato. Peter, al di là delle ma­glie verdi e delle vittorie conquistate, è una persona molto intelligente, con la quale si può affrontare qualsiasi argomento. È particolarmente curioso, quando arrivò in Italia ci poneva un sacco di domande, chiedeva anche le co­se più banali. Ha un’intelligenza su­periore alla media ed è proprio piacevole starci insieme. Sono veramente felice che tra tutti gli impegni conseguenti alla vittoria della maglia iridata abbia trovato una giornata per stare con noi, che rappresentiamo una fase importante della sua carriera. Gli auguro davvero il meglio per il futuro, se lo merita».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di Novembre

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1 - Sagan raccontato da Zanardo

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