IL PASTO IN RWANDA. In Congo accade che...

STORIA | 22/11/2015 | 08:12
KIGALI (RUANDA) “Il Tour de Congo – mi dice Janvier Hadi, ruandese, dorsale 3 - è la corsa più truccata del mondo. E non la farò mai più”.
Ogni stato africano ha la sua corsa a tappe, dal Burkina Faso all’Eritrea, dal Marocco al Gabon (l’Amissa Bongo Tropical), dall’Algeria al Sud Africa, dal Senegal al Camerun, ma come il Tour de Congo non ce n’è: “Non si può neppure immaginarne – sostiene Herman Beysens, 10 anni da professionista (nel 1976 gregario di Eddy Merckx alla Molteni), poi una vita nel ciclismo come direttore sportivo soprattutto in Africa – l’approssimazione, l’incertezza, la disorganizzazione”.

Il Tour de Congo – Repubblica democratica del Congo – è uno dei più recenti: tre edizioni, la prima nel 2013. Un miracolo dello sport in un Paese dilaniato per 20 anni (e non è ancora finita) dalla guerra, e in cui i due terzi dei 70 milioni di abitanti campano con un dollaro al giorno.

Del Tour de Congo 2013 le nove tappe si accorciarono – strada facendo – a otto, i corridori diminuirono da 60 a 56 (e ne arrivarono 46), invece i chilometri aumentarono da 900 a 960. Fu a rischio addirittura la partenza: prima del pronti-via della prima tappa, mentre un corridore del Togo investiva un cane, i congolesi facevano strage di gomme e non erano ancora pronti allo sventolio della bandiera del commissario di giuria. C’è da capirli: allora il Congo vantava 153 mila chilometri di strade, ma solo 3 mila erano asfaltate. Cinque tappe e la classifica generale furono conquistate dal francese Médéric Clain, che nei suoi due anni da professionista nella Cofidis aveva rimediato una squalifica per doping, mentre la classifica a squadre andò al Ruanda, che cercava di ricucire i rapporti politici con il Congo dopo il genocidio nel 1994. Memorabili, di quel Tour, presentato come “il più grande evento sportivo in Congo da “Rumble in the Jungles”, il match di pugilato fra Muhammad Ali e George Foreman a Kinshasa nel 1974, l’assenza delle transenne, le conseguenti invasioni del pubblico, i concerti dei percussionisti nonché la vittoria nell’ultima tappa del congolese Dukua Bumba.

Nel 2014 le tappe, sempre strada facendo, scesero da nove a sette, i corridori annunciati erano 150 ma se ne presentarono solo 90, invece i chilometri si moltiplicarono fino a 1200. Classifica generale al burkinabè Hamidou Yaméogo e a squadre a una formazione francese e – guarda caso – anche stavolta l’ultima tappa, quella che si concludeva a Kinshasa, dominata da un congolese, stavolta Jean-Louis Tshiyana. “Erano previsti 90 chilometri – racconta Hadi – e io ero in fuga, lanciato verso la vittoria, quando il direttore di corsa mi disse che, se non mi fossi fatto riprendere, la corsa sarebbe andata avanti all’infinito”. Hadi cedette alle minacce. “Ma anche perché il direttore di corsa aveva promesso che, in caso di vittoria di un congolese, avrebbe dato 700 dollari a ciascuna squadra”. E così fu.

Quel direttore di corsa ricorre negli incubi anche di Beysens. “Una volta non c’era la coincidenza aerea promessa, abbiamo dormito o comunque ci siamo sdraiati tutti per terra in aeroporto, poi abbiamo preso il volo delle 6 di mattina e alle 8 è scattata la corsa. Un’altra volta gli ho detto che, secondo me, il percorso non era ben tracciato, lui si è spazientito, pronti-via, dopo 400 metri eravamo già arrivati al traguardo. Un’altra volta ancora si è perso, lui, l’organizzatore, a Kinshasa, ha telefonato e si è fatto venire a prendere”. Beysens ricorda la mancanza delle frecce, delle indicazioni, perfino degli striscioni non solo all’ultimo chilometro, ma anche all’arrivo. “Un giorno un corridore belga si è perso per strada e non sapeva più come tornare in albergo. Ha fermato un moto-taxi, ha chiesto di condurlo all’arrivo della corsa e si è messo a pedalargli dietro. Finché il mototassista lo ha recapitato all’aeroporto. Agli arrivi”.

Nel 2015 il Tour de Congo, con due tappe, è stato vinto da Igor Silva, il Coppi dell’Angola (sei titoli nazionali consecutivi nella prova in linea e otto a crono). Ma qui al Tour of Rwanda non siamo riusciti ad avere notizie su come sia effettivamente andata.

Marco Pastonesi
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