IL PASTO IN RWANDA. Robin Hood Scandola

STORIA | 21/11/2015 | 08:39
RUBAVU (RUANDA) E’ il presidente, il segretario, lo sponsor e soprattutto il fornitore della squadra ruandese più numerosa. Così numerosa che non si sa neanche, con esattezza, quanti siano i corridori. E questo Robin Hood, questo Noè con la sua arca, questo Suor Calcutta - il tutto con le dovute proporzioni e differenze - è italiano.

Carlo Scandola (accento sulla prima a: Scàndola), 73 anni, veronese di Negrar ma con origini friulane, recupera, raccoglie, restaura, rigenera, resuscita e, “purtroppo” (dice lui) “anche se raramente” (aggiunge lui) “e a prezzi stracciati” (specifica sempre lui), acquista tutto quello che significa ciclismo: biciclette e caschi, maglie e calzoncini, tute e borracce, manicotti e gambali, guanti e calzini, mantelline e giacche, scarpe e copriscarpe, nonché pezzi di ricambio. Carlo esplora, perlustra, batte tutta la zona, dal Garda alla Bassa, si spinge nel Mantovano e nel Padovano, contatta negozi e aziende, spacci e grossisti, mercatini e fiere, cerca le offerte, coglie le occasioni e colleziona materiale ciclistico. Destinazione: Ruanda. E, quando può, “ma a mie spese” (precisa lui), trasporta personalmente dall’Italia al Ruanda. Due bagagli da 23 chili da mettere in stiva, più un altro da 20 in cabina, totale 66 chili tra attrezzatura e abbigliamento. Cui stavolta si devono aggiungere altri due sacchi militari al limite della capienza (23 chili ciascuno), affidati al sottoscritto. Poi, sul posto, divide, distribuisce, affida. E mentalmente, senza bisogno di computer, memorizza i destinatari.

Modesto corridore (“Però, essendo del 1942, correvo con Gimondi e Motta”), energico idraulico (“Con lunghe permanenze all’estero, dalla Libia all’Arabia”), inesauribile pensionato (“La mia palestra è la terra: dalla vite ai cachi, dai kiwi all’insalata, non mi faccio mancare niente”), Scandola si è appassionato al Ruanda quando ha adottato due bambini orfani (una, Clementina, a distanza, perché abita a Kigali, e l’altro, Nsinga, in vicinanza, perché abita in casa), facendosi carico - in prima linea c’è anche sua moglie Fiorenza – non solo della parte affettiva, ma anche educativa, amministrativa ed economica. Fino ad adottare il ciclismo ruandese di base, quello misero e diseredato, stradale e contadino, sudato e onirico, spontaneo e fiabesco. 

Viaggiando al seguito del Tour of Rwanda, spostandosi da Kigali a Rubavu, sfiorando il Congo e l’Uganda, attraversando la zona dei laghi e quella dei vulcani, Scandola riconosce al volo i suoi corridori. Quelli che indossano la maglia rossa con la fascia bianca della Lamacart o la maglia della Granfondo Eddy Merckx, quelli che esibiscono una giacca Alè Cipollini o un giubbetto della Granfondo Avesani, quelli che pedalano su una Campagnari o danzano su una Grandis, quelli che non immaginano neppure il valore della propria Olivieri o Fontana, quelli che non sanno chi sia Bussola di Pedemonte, quelli che ignorano chi sia quell’Eros Poli che portano scritto sul petto. Scandola li indica, a volte li insegue, magari un po’ rudemente li abbraccia, prima di rivelare loro di essere il portatore sano di tanto ciclismo.

E come in tutte le famiglie, anche quelle più grandi, ci sono i “figli” prediletti. Come Jeanne d’Arc Girubuntu, da Rwamagana, la prima ruandese ai Mondiali di ciclismo: “Le avevo dato una Bianchi gialla e blu, identica a quella di Marco Pantani”. E come quel ragazzo senza una gamba, da Kigali: “A lui ho assegnato una Colnago, di cui mi prendo cura portandogli anche i pezzi di ricambio. E stavolta gli ho regalato una scarpa Sidi”. La passione lo porta addirittura a sconfinare, come in questa edizione del Tour of Rwanda: “Con le squadre nazionali di Eritrea ed Etiopia. Li vedevo bisognosi, e allora ho aperto… la boutique”.
L’altro giorno, al termine della tappa di Huye, Scandola è stato chiamato sul podio. Non per essere premiato, ma per premiare. Un riconoscimento – a ben vedere - ancora più prestigioso e solenne.

Marco Pastonesi


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19 novembre - Il sogno di Boyer
20 novembre - L'accademia di Adrien
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