STORIA | 19/11/2015 | 07:10 MUSANZE (RWANDA) Un’area grande come due o tre campi da calcio, circondata da mura e vegetazione. A duemila metri di altitudine, ai piedi del Parco nazionale dei vulcani e alla base della Foresta nazionale che ospita i gorilla di montagna. I lavori sono cominciati nell’aprile 2015, si concluderanno nel 2016 e riveleranno il centro di ciclismo più all’avanguardia. Qui, nel cuore dell’Africa, appena sotto l’Equatore.
Cancello. Sulla sinistra, dopo la garitta della guardia, una sala-ristorante con cucina. Sulla destra, un primo edificio che accoglie il ricovero delle bici (fornite dall’Uci, acquistate con i soldi statali e ottenute attraverso donazioni), l’officina dei meccanici e la sala delle lezioni, un secondo edificio riservato ai test e ai massaggi, poi un padiglione destinato a diventare punto vendita e punto noleggio, laboratorio e spogliatoio, quindi una casetta che è l’ufficio centrale supercomputerizzato, infine alcune guest-house a tre o quattro letti, non solo per gli atleti, ma anche per ospiti e turisti. E non è tutto: c’è perfino un terreno-pista per bmx. E non è finita: ci sarà anche un tendone per i barbecue.
“Era il mio sogno – racconta Jock Boyer, e qualsiasi titolo sembra riduttivo per tutto quello che ha fatto e sta facendo per il suo Team Rwanda -, ma mai mi sarei aspettato di farcela, e di farcela così in breve tempo, e di farcela esattamente com’era nel mio sogno”.
Boyer, il primo americano a partecipare al Tour de France (nel 1981), dal 2007 ha contribuito a sviluppare il ciclismo ruandese: non solo corridori e corse, squadre e giri, non solo strada, mountain bike e bmx, non solo maschi e femmine, ma anche questo centro tecnico costruito in un’area che apparteneva a un gruppo di lavoratori tedeschi e che dall’aprile 2014 è stata indirizzata dal presidente del Ruanda, Paul Kagame, alla Ferwacy, la Federciclismo nazionale, per tradurre il sogno di Boyer in realtà.
Uno staff fisso di 15 persone, da Boyer alla moglie Kimberly Coats, dai meccanici ai massaggiatori, compresi i guardiani diurni e notturni e i cuochi. Una capacità fino a 50 persone, di cui una ventina i corridori fissi, più cinque o sei testati settimanalmente, il resto a disposizione di atleti di altre federazioni o di turisti affascinati dai vulcani o attratti dai gorilla. “E a disposizione soprattutto dei cicloturisti – aggiunge Boyer -. La zona si presta a straordinarie pedalate nella natura, e noi possiamo fornire tutto, dalla sistemazione alle bici, dall’alimentazione all’abbigliamento, dall’assistenza all’allenamento, e ovviamente alle guide e agli accompagnatori”. Gli atleti pagano 25 dollari al giorno, tutto compreso. I turisti possono contare sull’uso della cucina personale.
L’Africa Rising Cycling Centre (questo il nome del centro) costerà, a pieno regime, 500 mila dollari l’anno. Boyer è tranquillo: “Li avremo attraverso il sostegno del governo, il ricavato di varie ‘crowdfundraising’ e gli introiti dell’ospitalità. Qui sono già venuti atleti di Etiopia, Eritrea, Kenya, Burundi, Sud Africa, Congo… E vogliamo raggiungere i massimi standard europei, convinti di poter così accogliere anche le squadre di club o quelle nazionali dei Paesi occidentali”. Per questo nulla è lasciato al caso: dalla produzione di energia solare, che coprirà l’intero fabbisogno, al sistema di potabilizzazione dell’acqua, fino alle lezioni scolastiche – dalla geografia alla meccanica - per i corridori ruandesi, in inglese, con insegnanti di madrelingua. “La maggior parte dei nostri ragazzi ha ricevuto un’istruzione scarsa e insufficiente, e sappiamo che il ciclismo è solo una parentesi della vita. Noi vogliamo renderla importante, anzi, fondamentale”.
Prima che sia terminato questo centro, Boyer ne aprirà un altro, più piccolo, ad Asmara, in Eritrea. “Il nostro modello è soltanto la conferma che il ciclismo africano si sta sviluppando grandemente e ancora più velocemente di quello che potessi prevedere. Quattro dei miei corridori potrebbero andare in squadre europee già nel 2016. Là potranno migliorare confrontandosi con atleti più forti, in corse più importanti e in appuntamenti più prestigiosi. Il loro ingaggio è il marchio del nostro successo”.
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