W LA FUGA. Pastonesi esordisce raccontando Fantinato
TUTTOBICI | 31/07/2015 | 13:47 Lo confessiamo: siamo orgogliosi. Da oggi della grande famiglia di tuttoBICI tuttobiciweb e tuttobicitech entra a far parte un nuovo membro, una penna raffinata, un cantore autentico dello sport: Marco Pastonesi. Una famiglia in costante divenire, la nostra: ci sono autentiche colonne portanti che sin dalla prima ora hanno risposto "presente", come Angelo Costa, Cristiano Gatti, Gian Paolo Ormezzano e Gian Paolo Porreca. Punti di riferimento come Danilo Viganò, Giuseppe Figini, Valerio Zeccato e la insostituibile famiglia Rodella al gran completo, Mariangela Codenotti, Pier Maulini, Emanuela La Torre, Diego Murari, Stefano Fiori, Roberto e Luca Bettini (citati in rigoroso ordine sparso). E poi ci sono le "nuove leve" come Giulia De Maio, Diego Barbera, Pietro Illarietti, Giorgio Perugini e Stefano Arosio che portano entusiasmo e voglia di fare in una redazione che è abituata a “pedalare” veloce. Ed ora arriva anche Marco Pastonesi, che ha concluso la sua esperienza professionale con La Gazzetta dello Sport e che saprà sicuramente avvincere i nostri lettori con le sue storie e con il suo modo di raccontarle. La prima di queste è dedicata a Bruno Fantinato, l'uomo che 50 anni lasciò il suo posto al Tour a Felice Gimondi, che da Parigi sarebbe tornato con indosso la maglia gialla. Benvenuto, Marco. E buona lettura a tutti.
Cinquant’anni fa: lui a far vincere a Felice Gimondi il Tour de France. Il gregario ideale, perfetto, migliore. E così onesto da lasciare, quattro giorni prima del via, il suo posto in squadra al compagno più giovane e – si direbbe – più talentuoso. Bruno Fantinato ha 17 anni quando s’innamora di una Bianchi, bici da corsa, color verde acqua, però 14 chili e mezzo e proprietà di un paesano del Velo club Giorgione di Castelfranco Veneto che molla la bici vecchia per acquistarne una nuova. Papà commerciante all’ingrosso di frutta e verdura, mamma casalinga, a suo modo all’ingrosso anche lei, sette figli e l’ultimo, il più piccolo, Bruno, appunto, innamorato di una Bianchi. Prima corsa a Udine, partenza e arrivo vicino alla Birra Moretti, due volte la salita di San Daniele, alla fine primo nei gran premi della montagna e quinto all’arrivo. La prima vittoria a Marano Veneziano, e quella volta – ormai li conosce oltre che di fama anche di vista – e quella volta ci sono tutti i migliori allievi d’Italia, da Zandegù a Zilioli: fuga, solitaria e chilometrica, cominciata ai 40 dall’arrivo, lui indemoniato davanti a spingere sul 49x16, 80 infuriati dietro a inseguirlo tossendogli fiatone sul collo, infine primo a 45 di media e con 40 secondi sul gruppo. Gli si spalanca il mondo, quel giorno, a Bruno Fantinato: ciclista nel senso del corridore, conosciuto e riconosciuto, e un’intera famiglia – all’ingrosso – che la domenica lo segue amorosamente. Quel campionato italiano allievi del 1958, a Bari, quando Bruno scopre Vito Taccone, camoscio abruzzese. Quel campionato italiano allievi del 1959, a Sanremo, quando Bruno decolla sui capi, alla sua maniera, da solo, e sta volando anche sul Poggio quando, sul falsopiano, gli si affloscia una gomma, 40 secondi di vantaggio non gli bastano neanche per togliere il tubolare e a vincere è Zilioli. Quelle cinque selezioni su sette vinte con tutti i migliori, e poi quei collegiali del 1960, all’Acquacetosa di Roma, prima di un’Olimpiade cui non avrebbe potuto partecipare per troppa gioventù. Quel tappone pirenaico – Tourmalet e Aubisque - conquistato nel 1961, al Tour de l’Avenir, inghiottendo un francese a un chilometro dall’arrivo e battendo Gosta Pettersson in volata. E quel 1963, il suo anno d’oro, prima il Piccolo Giro di Lombardia fra i dilettanti, vinto, poi il grande Giro di Lombardia, fra i professionisti, arrivando al traguardo, una vittoria – a suo modo – anche quella. E dopo il secondo posto al Trofeo Serse Coppi, la firma con Luciano Pezzi per la Salvarani: 180mila lire al mese, per 12 mesi, più tutte le spese, dal mangiare al vestire, dalle scarpe ai treni, che gli sembra di aver trovato l’eldorado. Bruno Fantinato, padovano da Frate di Santa Giustina in Colle, è l’uomo del nord, delle classiche, delle corse in cui un solo giorno può valere un’intera vita. Fino al Giro di Sardegna del 1965: prima tappa, quinto, seconda tappa, sesto, terza tappa, quarto, quarta tappa, arrivo in volata quando, stretto fra il francese Jean Graczyk e il belga Rik Van Looy, cade e striscia il ginocchio destro. Fuori: niente. Dentro: tutto. E, da quel momento: calvario. Medici, scienziati, tecnici. Test, allenamenti, corse. Ma sotto sforzo, il ginocchio non spinge, il pedalare infiamma tendini e nervo sciatico, il piede formicola, la bici non va. Il Giro, impossibile. Il Tour, forse. Ma i tre ultimi allenamenti – domenica, lunedì e martedì prima della partenza – e ancora il male che riaffiora e arde. Fantinato, l’onestà come eredità di famiglia, telefona a Pezzi: dopo un paio di tappe dovrei abbandonare, gli confessa, meglio lasciare il posto a un compagno. Gimondi. La vittoria di Gimondi comincia da lì. E Fantinato, con una telefonata, scrive la storia del ciclismo. Ci sarà poi il tempo per ricordare Coppi (una riunione in pista, a Bassano del Grappa, nel 1958) e ammirare Anquetil (che, sulla bici, incanta), per incrociare Venturelli (strambo, a dire poco) e affiancare Merckx (il Cannibale, che si mangia anche i pedali), per ritrovare Gimondi, in camera (Fantinato che parla e Gimondi che dice sì o no, Fantinato il veneto e Gimondi il bergamasco) e in bici (la Roubaix del 1966, Gimondi che gli confida di avere le mani gelate, Fantinato che si toglie i guanti di lana, bucati dall’usura, e glieli allunga, Gimondi primo e Fantinato 17°). E’, quello, il ciclismo del riso in bianco e della bistecca, del bicchiere di vino, dell’alla larga dalle donne. Perché se in salita non si va, la colpa è solo delle donne. E se oggi la scienza dice che non c’entra niente, a quel ciclismo, e a Fantinato, sotto sotto, il dubbio è rimasto.
Questo è un acquisto di quelli ce fanno storia, Pier.
Sono davvero contento per TuttoBici, e per me che lo leggerò. Grazie.
Modello Italia
1 agosto 2015 11:50FrancoPersico
Si va in pensione e poi si occupa un posto di lavoro che potrebbe essere di qualche giovane disoccupato. Nulla di personale con Marco Pastonesi, che stimo per la sua professionalità e passione, ma è un dato di fatto.
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