Parla Fuentes: non solo ciclisti e alcuni nomi sono sbagliati

| 05/07/2006 | 00:00
Eufemiano Fuentes ha rotto ieri il suo silenzio concedendo un’intervista all’emittente radiofonica spagnola Cadena Ser nel corso del programma ‘El Larguero’. Il medico, accusato di dirigere una vera e propria rete di doping, ha voluto dire la sua sulle rivelazioni che la stampa ha fatto negli ultimi giorni. «Sono molto indignato per queste rivelazioni. Non sono usciti tutti i nomi di coloro che curavo e tra i nomi usciti ce ne sono alcuni di atleti che non ho mai seguito e altri che addirittura non conosco, mentre alcuni dei corridori che seguivo stanno correndo il Tour. E non riesco a spiegarmi il perché di queste invenzioni, ma il segreto professionale mi impedisce di rivelare quello che so. Sono stato un pioniere in molte cose e non so se sia il caso di esserlo anche nello smontare la trama di ipocrisia che circonda questo mondo. Trattamenti solo ai ciclisti? Anche questo mi indigna: ho lavorato con atleti di vari sport, come l’atletica leggera, il tennis e il calcio. Mancano molti nomi, c’è stata una selezione a monte e anche in questo caso non so il perché. Ho lavorato con calciatori dei campionati spagnoli di prima e seconda divisione, che hanno migliorato il loro rendimento. Non li ho seguiti personalmente, ma li ho indirizzati verso persone fidate». Fuentes ha poi difeso i trattamenti applicati dicendo che nulla hanno a che vedere con il doping e sostenuto che «i miei sono trattamenti biologici volti a favorire il recupero degli sportivi. Il sangue non si può manipolare: lo si può prelevare in caso di problemi di salute o di cattiva regolazione sanguigna e poi si possono fare trasfusioni se la vita dello sportivo è in pericolo. E non dimenticate che il mio obiettivo è quello di curare i pazienti, non di nuocere alla loro salute». I sospetti Fuentes ha confermato poi che sospettava di essere controllato da tempo: «Quando chiamavo al telefono sentivo rumori di fondo, immaginavo di essere tenuto sotto controllo. Ed il trattamento che abbiamo ricevuto in carcere è stato molto buono, molto umano. Anche perché ho capito che i poliziotti sapevano che noi non siamo delinquenti o criminali. Ma il carcere ha minato il mio morale e rovinato la mia immagine. Quando entri in carcere ti senti male, soprattutto se sai di non aver commesso alcun delitto. Certo, la mia credibilità è rovinata, non ci sarà per me un futuro nel campo della medicina sportiva, ma ho altri progetti per la mia vita».
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