STORIA | 22/06/2014 | 09:20 Fu la Colombia l'unico paese ad accettare l'offerta di Felix Lévitan
per un posto da riservare a una squadra extraeuropea al Tour de France
1983. La Colombia è un paese montagnoso. Ha un'unica costa, interrotta
solo da Panamá, l'ultimo tratto del cordone ombelicale che lega le
Americhe. Viaggiare da una città colombiana all'altra significa quasi
sempre attraversare parte di una delle tre catene delle Ande del nord, e
per chi va in bici andar forte in salita è l'unico modo per arrivarci.
Il
ciclismo in Colombia è decollato negli anni Cinquanta. La Vuelta a
Colombia era l'unico evento capace di tenere insieme il paese, ormai
collassato nella illegalità dopo l'assassinio a Bogotá nel 1948 di Jorge Eliécer Gaitán, leader del partito liberale. I disordini (Bogotazo)
e il decennio di guerra civile (La Violencia) che ne seguirono
cambieranno la Colombia per sempre. E lo stesso avverrà col ciclismo cafetero. I tifosi locali si resero conto di quanto forti fossero i loro campioni, quando Fausto Coppi e Hugo Koblet, arrivati lì in tournée nel 1958, furono battuti pesantemente.
La
prima squadra colombiana in Europa, però, non ci arrivò che nel 1980.
Non era fatta di professionisti, bensì di dilettanti sponsorizzati per
il Tour de L'Avenir (la corsa dilettantistica e semipro, oggi riservata
agli Under 23, che si corre all'ombra del Tour de France). Nel 1975 ci
fu un crollo del raccolto nelle piantagioni di caffè, e la Colombia
iniziò a vendere tutto il caffè che riusciva a produrre, e a
prezzi-record. In Italia una tazzina di caffè costava 50 lire, in un
anno il prezzo triplicò, salendo fino a 650 lire del’85 e a 1000 lire
nel 1990. Dal boom delle esportazioni arrivarono i soldi per la
diversificazione dell'economia colombiana e la chance di vendere
all'estero anche altri prodotti locali. Tra questi c'era il Postobón, un
soft drink realizzato da una ditta che sponsorizzava i corridori
colombiani al Tour de l'Avenir. In quello del 1980 Alfonso Flórez
del team Postobón prese il comando nella sesta tappa, la crono
individuale alpina di 24,3 km di Divonne-les-Bains, assestò alla
fortissima squadra russa una batosta in montagna, e vinse a Parigi. La
seconda squadra colombiana mandata al Tour de France dei
professionisti, nel 1984, era sponsorizzata dalla Varta, azienda
produttrice di batterie, ma i corridori avevano ancora l'identico status
dilettantistico di quelli al Tour de l'Avenir. Anche così, però, al
seguito della corsa si presentarono 35 giornalisti colombiani. «Il
baccano che facevano era assordante» racconta David Duffield, inviato di
Eurosport. «All'epoca le cabine dei telecronisti erano in tela e
compensato sottile e tutto quello che riuscivi a sentire erano quelle
convulse voci spagnole. E fumavano tutti a catena, la tribuna stampa era
piena di mozziconi».
Flórez
avrà anche vinto il Tour de l'Avenir, ma le corse pro' erano altra
cosa. L'andatura troppo elevata e il pavè andavano oltre le sue forze.
Si ritirò dopo la Langon-Pau, la decima tappa, la prima sui Pirenei, là
dove ci si aspettava che avesse successo. Solo cinque Colombiani
finirono quel Tour, ma José Patrocinio Jiménez e Edgar “Condorito” Corredor,
compagni nella spagnola Teka, andarono fortissimo: Jiménez indossò per
cinque giorni la maglia a pois di miglior scalatore e Corredor fu
l'unico a battere in ogni tappa di montagna Laurent Fignon, maglia
gialla a Parigi.
Il migliore in quel breve ma intenso primo impatto colombiano sulla Grande Boucle fu però Luis “Lucho” Herrera,
detto il “Giardiniere di Fusagasuga” perché prima lavorava nei campi a
raccogliere fiori. Corse sette Tour, arrivò settimo nel 1985 e conquistò
due tappe e la maglia a pois; fu quinto in classifica generale e
leader della montagna nel 1987; e chiuse sesto nel 1988.
Con lo
sfiorire della generazione d'oro e il tardivo ricambio generazionale,
negli anni Novanta al ciclismo subentrò il calcio come nuova follia
nazionale. La Café de Colombia, team che poi sponsorizzava i cafeteros nei pro', si chiamò fuori quando, nel 1989, l'accordo internazionale sul caffè decadde. I colombiani, però, non scomparvero. Hernán Buenahora e Álvaro Mejía hanno corso sei Tour, Buenahora nel 1995 arrivò decimo e Mejía quarto nel 1993. Fabio Parra
ha concluso otto Tour, finendo terzo nel 1988 e con una vittoria di
tappa. Gli occhi sorprendentemente azzurri di Santiago Botero brillarono
per tre volte fino a Parigi: settimo nel 2000, ottavo nel 2001 e quarto
(con due tappe vinte) nel 2002. Un gran curriculum, però, macchiato nel
1999 dai sei mesi di squalifica per doping.
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