PROFESSIONISTI | 25/04/2014 | 07:35 Moreno Moser è nato il giorno di Natale del 1990. È figlio di Diego, uno dei fratelli dello “sceriffo” Francesco. Quando quest’ultimo vinse il suo Giro d¹Italia, era il 1984, il futuro nipotino Moreno non era neppure stato immaginato dai suoi genitori. Aveva invece 10 e 13 anni nelle due occasioni in cui a trionfare in rosa fu un altro concittadino di Palù di Giovo, borgo che forgia i campioni in bicicletta, vale a dire Gilberto Simoni. Il 9 maggio prossimo Moreno Moser si schiererà al via del suo primo Giro d¹Italia, a 30 anni esatti dall’impresa di zio Francesco. Lo farà dopo aver sorpreso subito al passaggio tra i pro (Laigueglia e Francoforte 2012, Strade Bianche 2013) per poi attraversare un momento assai delicato.
Moreno, riavvolgiamo il nastro: nel settembre scorso la sua Cannondale le concesse un periodo di riposo per uno stato di affaticamento. Si è fatta luce su quel mistero? «No, da mille esami non emerse nulla, nessun virus».
E lei reagì con sollievo o con preoccupazione? «L’uno e l’altra. Da una parte, infatti, ero contento di non avere alcuna malattia, mentre dall’altra restava la paura che quello stato di stanchezza incredibile potesse ritornare senza un motivo spiegabile».
E dunque come ha trascorso la stagione invernale? «Riprendendo la bici dal primo novembre e per una volta allenandomi senza dedicarmi a sport alternativi. Insomma, tutta la mia preparazione si è basata su palestra, visto che ho gli attrezzi in casa, e ciclismo pedalato».
E com’è andata? «Bene, sino alla cronosquadre introduttiva della Tirreno-Adriatico, quando ho avvertito dolori al ginocchio sinistro».
Eppure lei quella corsa impegnativa l’ha quasi conclusa... «Sì, perché nelle successive tappe la fitta non s’era fatta più viva. Ma ho preferito ritirarmi prima della crono conclusiva per non ritornare nella posizione che mi aveva creato problemi qualche giorno prima».
Niente Sanremo, quindi un nuovo stop. E la ripresa quando è avvenuta? «Dieci giorni senza bici, quindi ho ricominciato da una ventina di giorni. Ovvio che il mio calendario è stato rivoluzionato».
Perché? Non avrebbe fatto il Giro d’Italia? «No no, quello era già stato inserito, ma avrei dovuto affrontarlo con una gamba migliore, attraverso Sanremo, più Paesi Baschi e classiche delle Ardenne. Così, invece, ci arriverò attraverso il Trentino, che sto affrontando pensando solo al Giro, e quindi correndo il Romandia».
È il suo primo Giro, terra di conquista di zio Francesco e di Simoni, altri due campioni di Palù di Gioco. Che cosa le viene in mente? «L’impresa di mio zio l’ho rivissuta dai racconti della gente del mio paese e di quelli dei tanti tecnici che mi hanno seguito in questi anni. A me bambino sembrava naturale avere uno zio campione: soltanto quando ho iniziato a correre ho capito l’incredibile portata delle sue vittorie. Tre Roubaix di seguito, mamma mia...».
E i due Giri di Simoni? «Quelli li ho vissuti in modo più diretto e ricordo benissimo che il parroco di Palù fece dipingere di rosa le campane della chiesa che iniziarono a suonare all’impazzata».
Sono trascorsi trent’anni dalla conquista in rosa di Francesco: avverte una certa pressione addosso in qualità di «Moser al Giro”? Il suo cognome non è facilissimo da portare... «No, mi creda, io sono un ragazzo molto concreto, anche se magari a livello inconscio potrei provare qualcosa di molto forte. Ma non so ancora dirle, perché sarà il mio primo Giro».
Cosa la incuriosisce di più? «Vedere l’affetto della gente, ma non tanto di coloro che amano il ciclismo, perché quello la conosco, quanto piuttosto di chi s’interessa del nostro sport soltanto in occasione del Giro, un evento che va al di là del fattore sportivo. È senza dubbio un fatto di costume che fa parte della tradizione del nostro Paese».
E lei che cosa promette? «Diciamo quale potrebbe essere un mio desiderio: ecco, vorrei vincere una tappa, magari centrando la fuga buona. Ma devo essere umile nel migliorare giorno dopo giorno, perché è indubbio che inizierò il Giro non certo al top della condizione. Trentino e Romandia spero mi restituiscano un buon colpo di pedale, mentre la prima parte della Corsa Rosa potrebbe completare l’opera».
Moreno, scusi l’epilogo antipatico: perché il ciclismo italiano non vince più? «Il livello si è alzato spaventosamente, la concorrenza è terribile; vincere oggi è assai più difficile che ai tempi di zio Francesco o di Simoni. Una volta c’erano Italia, Francia e Spagna a trainare il movimento, oggi siamo un paesino tra tanti. E l’ingresso di Usa, Australia, Regno Unito e Paesi dell’Est ha reso tutto incredibilmente più complicato. Ma non per questo mi perdo d’animo...».
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