Bitossi: mi sarebbe piaciuto correrlo, questo mondiale
MONDIALI | 22/09/2013 | 10:37 Quale migliore occasione per intervistare Franco Bitossi se non pochi giorni prima dell’inizio della tanto attesa settimana iridata del ciclismo in Toscana? Bitossi di maglie azzurre se ne intende parecchio, avendo preso parte a 9 mondiali portandone a conclusione 06. I suoi migliori piazzamenti nella gara iridata dei professionisti coincidono con tre memorabili trionfi del ciclismo italiano: 2° nel drammatico finale di Gap (1972, 1°il fedifrago Basso), 3° a San Cristobal (Venzuela, con la consacrazione di Francesco Moser) e 4° nel 1968 a Imola (vittoria per distacco di Adorni). Insomma, un vero portafortuna per i compagni in maglia azzurra. Eppure il campione di Camaioni di Carmignano ancora non ha dimenticato il fattaccio di Gap, così come non lo dimenticano i suoi tanti tifosi disseminati nella pianura tra Prato e Pistoia e che ancora ricordano l’epoca d’oro del team Filotex, una delle squadre-faro del ciclismo italiano nel decennio 1965/1975. Bitossi ha festeggiato i suoi primi 70 anni nel 2010, ma anche a quella felice ricorrenza è legato un brutto ricordo: «Ero a casa mia, in Versilia, stavo facendo la mia solita passeggiata tra Lido di Camaiore e Camaiore ed ero sceso di bicicletta per attraversare una strada particolarmente trafficata quando…la luce si è spenta e mi sono risvegliato qualche ora dopo all’ospedale, con un brutto ematoma alla testa. Di quello che è accaduto non ricordavo niente. Mi hanno trovato disteso per terra dall’altra parte della strada, svenuto e ferito al capo. Un’esperienza terribile e devo dire che se prima avevo 70 anni e me ne sentivo 40, ora mi sembra di averne quasi 80…..».
Ma il disturbo “clinico” più famoso di Franco Bitossi resta quel famigerato Cuore Matto: ha mai pensato quante vittorie in più avrebbe potuto ottenere delle 205 da lei totalizzate in tutte le categorie senza quel disturbo? «Sono dei conti che non ho mai fatto, li trovo inutili…A scoprire la causa del mio disturbo, una tachicardia parossistica da stress, fu il mio amico dottor Falai, che in seguito riuscì a migliorare di parecchio il mio rendimento. Comunque la sconfitta più bruciante l’ho patita a Gap nel mondiale del 1972 e non fu certo dovuta al Cuore Matto…».
Una ferita che è ancora aperta… «Non potrebbe essere altrimenti. Rivedo ancora quegli ultimi cento metri come un incubo, con Merckx ingobbito che riporta sotto i primi inseguitori e poi Basso che impietosamente mi brucia…. Certi addetti ai lavori sostengono, forse per consolarmi, che io sono diventato un personaggio amato e ammirato in tutto il mondo del ciclismo proprio dopo questa tremenda beffa, che ancora oggi viene trasmessa su You Tube; ebbene a loro io dico che avrei di gran lunga preferito indossare la maglia iridata e perdere parte della mia popolarità…».
Ci può indicare i più forti ciclisti contro i quali si è battuto durante la sua carriera professionistica protrattasi per 18 anni? «Merckx è stato il più forte in assoluto, mentre Anquetil è stato il re delle crono. Gli scalatori più temibili sono stati Julio Jimenez e José Manuel Fuente, mentre tra i velocisti i migliori sono stati Van Linden, Maertens, Sercu e Basso».
Con chi non andava d’accordo, in gruppo? «Non legavo con Dancelli, avevamo caratteristiche troppo simili e nemmeno con Gavazzi».
Qual è stata la sua vittoria più bella? «a tappa di San Pellegrino al Giro del 1964, la prima delle quattro frazioni che vinsi in quel Giro. Per me significò la fine di un incubo, di due anni bui durante i quali avevo pensato seriamente di smettere e quel successo mi convinse che avrei potuto avere un buon futuro nel ciclismo».
Quali sono stati i suoi idoli giovanili nel e quali gli avversari più ostici nella sua carriera? «o iniziato a gareggiare in bici sognando di ripetere le gesta di Gino Bartali e di Gastone Nencini…Nelle categorie giovanili mi facevano vedere i sorci verdi in gara Luciano Gaggioli e Giorgio Goretti, mentre tra i professionisti il mio rivale più accanito è stato Michele Dancelli».
E i diesse con i quali ha legato maggiormente? «Alfredo Martini è stato per me come un padre, mentre Valdemaro Bartolozzi potrei invece paragonarlo a un fratello maggiore; due tecnici eccezionali, come non se ne vedono più in giro».
Qual è stata la gara che lei prediligeva? «Senza dubbio il Giro di Lombardia, che ho vinto per due volte e nel quale mi sono spesso piazzato: si correva in autunno, che insieme alla primavera è la mia stagione preferita in quanto con il caldo e l’afa ho sempre reso al di sotto delle mie potenzialità».
Dopo il ciclismo lei ha scoperto un altro sport… «Sì, gioco a bocce da anni e in questa discipilna ho vinto anche il campionato italiano».
Parliamo di questo attesissimo mondiale 2013 in Toscana: un sogno che si avvera? «Sì, sarebbe stato bello correrlo ai miei tempi. Ora sono felice per gli appassionati di ciclismo della nostra regione, ma per me non è più la stessa cosa».
Ha visto il percorso? «Sì, lo abbiamo fatto in macchina, con degli amici. Il circuito di Fiesole è molto impegnativo, mi sarebbe piaciuto. E’ adatto ai colpi di mano, alle imboscate, in pratica non c’è respiro, si sale o si scende sempre. Se si resta indietro recuperare è quasi impossibile».
A chi si adatta? «Ai soliti noti: Sagan, Gilbert, Cancellara, Valverde ma non dimentichiamo il nostro Nibali che è reduce dalla Vuelta con una condizione atletica quasi ottimale e con tanta rabbia in corpo».
Servirà una squadra italiana molto coesa? «All’inizio, nel tratto in linea potrà essere molto utile, poi, lungo il circuito di Fiesole, emergeranno inesorabilmente gli atleti più in forma, quelli dotati di gambe buone e di cervello».
I mondiali in Toscana saranno un successo? «Penso proprio di sì. Nonostante la crisi in Toscana c’è ancora molta passione per lo sport del pedale e lo spettacolo di Firenze in Mondovisione sarà eccezionale, uno spot unico per una città unica. L’Italia ha bisogno di belle immagini anche nello sport per risalire la china».
E lei dove seguirà il mondiale? «Ho avuto molti inviti, ma alla fine è probabile che me ne resti a casa, a godermi lo spettacolo in poltrona. Quale posto può essere migliore per un vecchietto come me?».
FRANCO BITOSSI ERA IL MIO IDOLO ED ANCORA, QUANDO MI CAPITA DI VEDERLO DI PERSONA, UN Pò MI EMOZIONO ANCORA. HO AVUTO LA FORTUNA DI ALLENARMI A VOLTE INCROCIANDO lUI, POGGIALI, DI CATERINA DALLAI ED ALTRI PROFESSIONISTI, IO ERO UN SEMPLICE ALLIEVO. uNA VOLTA MI DISSE UNA COSA CHE ANCORA RICORDO CON MOLTA EMOZIONE: "" IN BICICLETTA CI STAI VERAMENTE BENE, COMPLIMENTI "" RIUSCI SOLO A DIRGLI GRAZIE.
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