Si è spento il giornalista Mariano Botta

LUTTO | 24/08/2013 | 15:03
Schivo, riservato,ma anche fieramente testardo. Mariano in dialetto avrebbe detto “tesctòn”, infierendo su un limite che a ben vedere non è neppure tale. Non per chi sulla coerenza ha costruito una carriera, in fondo un’intera vita, con il rischio (o il merito) di sbattere anche la testa pur di cavalcare e divulgare i propri ideali e veicolare un’immagine di sport dai contorni forseun po’ romantici, nostalgici. Un po’ in lotta con la deriva mercantile dei tempi nostri, così mal sopportata.
Unico, Mariano, è innegabile. Un’unicità che ne fanno un esempio. O meglio,un punto di riferimento. Non un maestro, però, giacché la sua discrezione, la sua educazione, quel profilo basso scelto quasi l’avesse fatto apposta per lasciare la ribalta ai suoi interlocutori, gli impedivano di impartire lezioni o dirsi più bravo degli altri. Si potrebbe chiamare umiltà, tuttavia preferisco parlare di professionalità, elevata alla massima potenza. Sconfinante a volte in una dedizione difficile da capire da parte di chi si fregia del titolo di collega. Unica, anche quella.
Capo autorevole più che autoritario, ha scritto, commentato e raccontato sport. Al fine di farlo amare. Preciso, rigoroso, financo schematico ma mai sopra le righe, ha dato fiato e visibilità allo sport ticinese in senso lato, nella sua pienezza, ben oltre la popolarità un po’ di comodo di calcio e hockey su ghiaccio.Ha cavalcato con successo e inarrivabile passione discipline meno considerate, indicando una via lungo la quale altri hanno cercato di incamminarsi, giocoforza senza la medesima efficacia. Ha dato impulsi ad atleti delle più svariate discipline – con una predilezione per l’adorato ciclismo – incoraggiandoli a proseguire lungo carriere magari solo discrete, concedendo loro quella considerazione che in certi contesti conta più del mero risultato sportivo, privilegio di pochi. Un’attenzione per la quale si sono sprecati attestazioni di stima e ringraziamenti, dei quali mai però ha fatto sfoggio.
Ecco perché la sua eredità è pesante, ma alla stessa stregua molto stimolante. Benché da lontano – da dietro la scrivania soffocata da chili di scartoffie, in un disordine che era un segno distintivo ma nel quale ha però sempre saputo cosa e dove cercare – si è posto con discrezione quale punto di riferimento.
Senza spendere troppe parole mi introdusse alla professione indicandomi
quale linea adottare, quale strada imboccare. La strada della cura, dell’attenzione, della correttezza. Perché no, del sacrificio. In un solo concetto: la professionalità, cavallo di battaglia imprescindibile.
Nel momento del mio contributo alla sua memoria mi è più chiaro quanto il mio percorso professionale fosse legato al suo. Devo a lui se in un momento cruciale della mia vita ho fatto di una passione un lavoro. Mi ha voluto con lui nel momento in cui la sua vita ha svoltato con l’addio all’amato ‘Giornale del Popolo’, per accettare la sfida lanciatagli da ‘la Regione Ticino’.
Un’ulteriore prova di quella considerazione della quale andrò sempre fiero e riconoscente.
Di cui ho avuto piena consapevolezza nel giorno in cui mi ha indicato quale suo successore, affidandomi un incarico che, anche se non l’ha mai detto a chiare lettere, gradirebbe che svolgessi con quella dedizione e quella passione che erano sue.

di Marzio Mellini, da La Regione Ticino
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