DUE DOMANDE. CORSA ALLA PRESIDENZA FEDERALE. 3a parte

| 10/01/2013 | 11:46
Sabato prossimo a Levico Terme scopriremo il nuovo numero uno della Federazione Ciclistica Italiana. Per farveli conoscere meglio, abbiamo intervistato i sei candidati alla presidenza della FCI: Salvatore Bianco, Davide D'Alto, Rocco Marchegiano, Claudio Santi, Gianni Sommariva e il presidente uscente Renato Di Rocco. Come faremo fino alle elezioni del prossimo 12 gennaio, anche oggi vi proponiamo le loro risposte alle nostre "due domande".

5. Lei crede ad una Lega del ciclismo professionistico italiano? E che fare con quelle squadre di matrice italiana con società di gestione all’estero?
 
Salvatore Bianco.
«La Federciclismo che ho in mente non dovrà più avere a che fare con situazioni di questo tipo, il ciclismo italiano deve tornare ad avere la forza per avere molte più squadre professionistiche, di vario livello, ma tutte affiliate nel nostro paese. Una Lega può essere certamente molto utile per un progetto del genere, a patto che sia messa in condizione di operare e coordinare realmente il nostro ciclismo professionistico, e che non sia solo un ente che, come ora, dietro la facciata non ha niente di concreto».

Davide D'Alto. «Non ci sono i presupposti per crearla e la sua rinascita è stata un'inutile forzatura. Riformare la legge 91 potrebbe aiutare».

Renato Di Rocco. «Sì, la recente decisone di RCS di invitare tutte e quattro le squadre italiane ne è la prova. La Lega ha un ruolo importante per promuovere la sinergia di sistema fra tutte le forze del nostro movimento. L’inserimento della Lega del Ciclismo Professionistico nello Statuto della FCI, approvato dall’assemblea della FCI nel marzo 2009, conclude un percorso conseguente agli impegni presi nel 2005. Nel 2011 la Lega ha partecipato agli Stati Generali del Ciclismo convocati dalla FCI a Milano. Ha organizzato il Convegno sulla “Stabile organizzazione in Italia di Società estere” con la partecipazione di tutti i Gruppi Sportivi italiani e di matrice italiana al fine di orientarsi nell’interpretazione delle norme italiane e europee che influiscono anche sugli assetti sportivi delle squadre. Solo a stagione inoltrata l’UCI ha esteso ai gruppi sportivi Professional la norma che consente di scegliere la nazionalità sportiva della nazione ritenuta più interessante per il mercato di uno dei due sponsor principali. La FCI e la Lega ritengono invece che dovrebbe essere adottato per tutti i gruppi sportivi il criterio della nazionalità prevalente dei corridori tesserati. Tuttavia anche l’opportunità concessa dall’UCI permette ai nostri gruppi sportivi con sede all’estero di esercitare questa opzione. Credo poi che dovremo proporre un modello ‘Continental’ italiano che ci ponga sullo stesso livello fiscale delle altre nazioni, garantendo gli atleti dal punto di vista professionale e salutistico, oltre a un adeguato livello organizzativo del team».

Rocco Marchegiano. «A questo proposito prima di pensare alla Lega come struttura organizzata, mi pongo il problema della precaria situazione del ciclismo professionistico italiano sia in campo agonistico che organizzativo. Basti pensare all'abbandono del calendario nazionale di gare che hanno fatto la storia del nostro movimento. Dal punto di vista dei team agonistici bisogna prendere atto di una costante diminuzione della presenza italiana nelle classifiche internazionali. Serve dare credibilità al ciclismo di alto livello per recuperare interesse agli occhi degli sponsor. Solo in questo contesto si potrà analizzare l'impegno delle istituzioni per consentire ai nostri team di organizzare l'attività amministrativa in Italia».

Claudio Santi. «Non mi convince per niente la Lega, organo superato, rimesso in piedi per dare poltrone a dinosauri. Se invece parliamo di un settore professionistico Elite, che garantisca la ricerca e tutela degli interessi di ragazzi e ragazze, di organizzatori e gruppi sportivi, allora stiamo prendendo la direzione giusta. Riguardo le società di gestioni all'estero credo sia una questione da risolvere al più presto, sempre che non sia troppo tardi. Comunque è un discorso articolato, bisogna prendere in considerazione vari fattori, quali le differenze fiscali e i diritti di partecipazione alle corse FCI. Lo affronteremo in modo serio e determinato».

Gianni Sommariva. «Per come è fatta adesso no, sulla carta c'è ma in pratica non esiste. Dobbiamo aprire delle trattative con l'UCI e il CONI per far valere i nostri diritti e per promuovere regole condivise a livello internazionale. Non è possibile che in Italia a un ragazzo che ha avuto problemi di doping non è permesso di passare professionista, ma gli basta valicare il confine per staccare la tessera. Bisogna parlare con le squadre per capire i loro problemi e trovare il modo per invogliarle a rimanere in Italia, a tutti gli effetti bisogna dar loro tutti gli elementi perché la fuga all'estero non sia conveniente».

6. Sempre meno corse e sempre meno formazioni professionistiche italiane. Il ciclismo tricolore è sull’orlo del baratro: che fare?

Salvatore Bianco.
«Il ciclismo italiano è diventato grande perché, accanto ai campioni e alle corse storiche che l'hanno reso leggendario, ha avuto un impianto fortissimo di costruttori, che si sono fatti un nome operando dentro a un sistema che sfornava i Coppi e i Gimondi, le Milano-Sanremo e i Giri di Lombardia. La mia idea è che serva un forte rilancio per rimettere in piedi un circuito che, se riattivato, tornerà ad essere virtuoso per tutti. Chiedere un impegno più forte alle tante aziende italiane del settore, fare sistema insieme per dare un impulso forte al movimento, spingere i singoli organizzatori a consorziarsi per avere più forza contrattuale e per poter fare economie di scala, creare un'emittente televisiva riservata al ciclismo per dare sempre più visibilità al tutto. Se la locomotiva riparte e riparte bene, nuovi sponsor saranno spinti a salire - o risalire - in carrozza».

Davide D'Alto. «Sicuramente non fare finta di nulla o quasi come si è fatto fino ad ora. Fino al 2009-2010 sembravano ancora il centro del mondo. A
rischiare molto è tutto il ciclismo italiano su strada, non solo il settore professionistico. Ma ho espresso questo punto di vista fin dal 2005, anche in Consiglio federale, sentendomi dare più o meno del matto. Resto convinto che cambiando il metodo di coinvolgimento dei Comitati regionali e dando loro maggiori strumenti (non solo soldi) sia possibile un concreto rinascimento. Gli ultimi quattro anni, inutile nasconderlo, sono stati caratterizzati da numerosi errori di valutazione, dovuti all'assenza di dibattito e di confronto».

Renato Di Rocco. «Il baratro il ciclismo non solo italiano lo ha sfiorato, come ho detto, per ben altri motivi. Penso che salvaguardare l’italianità dei gruppi sportivi sia molto importante, ma questo non incide sulla vitalità del nostro movimento atletico. Ormai anche lo sport è multinazionale. Corridori stranieri contribuiscono al successo dei gruppi sportivi affiliati in Italia, così come molti professionisti italiani sono in forza a gruppi affiliati all’estero, ma restano pur sempre tesserati in Italia. Come nel calcio, sono tutti a disposizione della nazionale azzurra e in questo senso il tricolore è salvo nella misura in cui i nostri atleti sono competitivi. In campo femminile la nostra nazionale è la più forte del mondo, eppure quante nostre atlete di primo piano corrono in società affiliate in altre nazioni?».

Rocco Marchegiano. «Ribadisco quanto detto in precedenza».

Claudio Santi. «Ma se leggiamo relazioni con scritto che tutto va bene ed anzi stiamo aumentando? Che fare? Impegnarsi e dialogare con tutti coloro che, con volontà ed esperienza, con entusiasmo e coraggio vorranno far parte del futuro. Non con gli amici e gli amici degli amici, ma con tutti coloro che, indipendentemente da come la pensano su di me e sulla politica sportiva, siano disposti ad impegnarsi e a ragionarci con coscienza e competenza».

Gianni Sommariva. «Non siamo noi in difficoltà, è il sistema del World Tour a mettere in difficoltà lo sport nazionale. Il calendario mondiale sta uccidendo il cuore del ciclismo spostando di data il Giro di Lombardia per il giro di Pechino, ci rendiamo conto? Non dobbiamo fare guerra all'UCI, ma chi guida il movimento internazionale deve essere disponibile al dialogo, ad aprire un tavolo delle trattative, non può pretendere di scegliere solo "yes man" con cui non c'è discussione. E poi ricordiamoci che la FCI offre il più grande ciclismo del mondo, l'UCI l'hanno inventata guarda caso due italiani, Rodoni e Binda».


3a puntata - segue

a cura di Giulia De Maio


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