Bordogna: orgogliosi del Teaam LPR

| 20/08/2005 | 00:00
Al gusto delle vittorie ci è ormai abituato, perché – da Stefano Garzelli a Roman Vainsteins – in casa Bordogna di tappi di champagne ne sono sempre saltati parecchi. Ma forse nemmeno lui pensava, al giro di boa di questa stagione, di contabilizzare un numero così elevato di successi. La "ciliegina" sulla torta di un'annata da Guiness, il trionfo numero quindici di Danilo Napolitano alla Coppa Bernocchi. E così, una stagione "sperimentale" per Massimo Bordogna, responsabile delle relazioni esterne del team Lpr, diventa il preludio ad un nuovo progetto vincente, quelli su cui la famiglia di Mendrisio ha, in fondo, sempre impresso il proprio calco. “Tutti noi, all’inizio della stagione, eravamo convinti di avere in squadra corridori in grado di far bene, ma quindici vittorie con nove atleti diversi rappresentano, senza dubbio, un bilancio esaltante, che va al di là delle aspettative nostre e di tutti gli addetti ai lavori. Anche perché, oltre ai successi, è giusto tener conto anche della miriade di piazzamenti, alcuni dei quali di grande spessore tecnico. Mi riferisco, ad esempio, ai secondi posti di Khalilov e Napolitano, battuti per pochi centimetri da un velocista del calibro di Tom Boonen”. Qual è la vittoria che più l’ha entusiasmata? “Non vorrei fare graduatorie, anche perché tutte e quindici sono state, per un verso o per l’altro, molto importanti. Certo, il trionfo di Napolitano alla Bernocchi, sul piano mediatico, ci ha dato una visibilità formidabile, ma anche le prime vittorie in Ticino sono state preziose perché hanno subito portato entusiasmo nella squadra, allentando la pressione di una ricerca ossessiva del risultato”. Qual è il segreto di una stagione così esaltante? “Credo un gruppo straordinariamente affiatato che, per usare una metafora ciclistica, ha pedalato compatto sempre nella stessa direzione. In una struttura composta da una trentina di persone, è normale che sorgano divergenze o tensioni. Da noi, invece, c’è sempre stata la massima armonia, una condivisione di metodi e di obiettivi, che ci ha permesso di lavorare nella più totale distensione. Alcuni dei nostri risultati credo siano figli di questa inossidabile serenità mentale”. Importante, in tal senso, anche il contributo di Orlando Maini… “Devo dire che l’entusiasmo con cui interpreta ed affronta, ogni giorno, il suo lavoro è contagioso. Una figura come la sua, per una struttura come la nostra, è senza dubbio decisiva”. L’ingaggio di Tonkov, al di là della prestigiosa affermazione nella classica di Alcobendas, che cosa vi ha lasciato? “Tonkov è stato il "lasciapassare" di alcune gare che, senza di lui, obiettivamente non avremmo mai corso. E mi riferisco, soprattutto, ai palcoscenici spagnoli. Oltre a questo, ha assolto magistralmente, al pari di Konyshev, la missione che gli avevamo chiesto, ossia quella di fungere da esempio per le nuove generazioni. Pavel è un professionista autentico ed un corridore esemplare sul piano della serietà. Noi, alla Lpr, perseguiamo questo modello di corridori e dunque affiancarlo ai nostri giovani ci è sembrata una strategia vincente. Del resto, se vuoi insegnare tennis ad un giovane, gli mostri come gioca Federer, se vuole andare in moto gli presenti Valentino Rossi e se, invece, da grande vuole fare il ciclista, io gli porto Tonkov”. Napolitano e Santambrogio, la prossima stagione, correranno con la Lampre…  “Lanciare dei giovani è sempre importante e, in fondo, almeno in questa prima fase del nostro progetto, anche un po’ la nostra mission. Una squadra come Lpr, in questo senso, è un laboratorio quasi ideale. Se la stoffa c’è, a casa nostra viene fuori”. Sul Pro Tour esistono una marea di giudizi contrastanti: qual è il suo personale parere?  “Chi fa parte del Pro Tour sostiene che il bilancio è globalmente positivo e che basterà qualche lieve ritocco per raggiungere l’optimum. Per questo, anche se i tre Giri hanno pareri discordanti, temo che sarebbe illusorio attenderci dietrofront clamorosi. Io, al contrario, credo che i limiti di questa novità epocale siano sotto gli occhi di tutti. Al Giro d’Italia, ad esempio, avere solo sei formazioni italiane sulle ventidue iscritte, mi pare un anacronismo che non può non far riflettere, anche perché molti team stranieri, come è noto, hanno corso il Giro con squadre dimezzate e senza troppi stimoli. Allo stesso modo, formazioni come la Panaria e come la Selle Italia hanno dimostrato che, anche con budget più contenuti, è possibile pianificare una stagione di buon livello, facendo anche meglio delle tanto reclamizzate formazioni del Pro Tour. Ecco io credo che il fattore “risultati”, nel ciclismo come in tutti gli sport, debba essere più esaltato. Certi palcoscenici di prestigio non possono essere negati a chi, con i risultati, ha dimostrato di meritarli ampiamente”. La Fassa Bortolo chiude bottega e un diesse del calibro di Giancarlo Ferretti, malgrado i disperati tentativi di trovare uno sponsor di alto livello, molto probabilmente resterà a spasso. Anche nel ciclismo, il reperimento delle risorse economiche diventa sempre più difficile? “L’Italia è un paese fondato sulla piccola-medio impresa e la congiuntura economica negativa è evidente e non può non riflettersi sul mondo delle sponsorizzazioni sportive. Ad esempio, noi viviamo la realtà comasca, in cui il settore tessile attraversa, da anni, una crisi strutturale pesantissima. Il fatto è che, nel ciclismo, checché se ne dica, le aziende coinvolte sono di dimensioni medio-piccole. Penso alla Mapei, alla Lampre, alla stessa Fassa Bortolo, realtà economiche solide, ma che certamente non rientrano nel novero delle grandi industrie. Ad esempio, salta agli occhi, la mancanza di un istituto di credito italiano e l’assenza è, per certi aspetti, anche difficile da comprendere, visto il formidabile ritorno d’immagine che uno sport popolare come il ciclismo è in grado, numeri alla mano, di offrire”. Italia dunque fanalino di coda. E nel resto d’Europa? “Direi che, in realtà, la crisi è estesa a tutta l’Europa, perché la recessione non è certo un fatto solo italiano. L’introduzione dell’euro, con tutti i suoi risvolti, ha avuto un timing sbagliato, per cui non vedo, in Europa, Eldoradi da cui il ciclismo può attingere risorse infinite. La stessa Spagna ha le sue difficoltà, mentre in Francia esistono realtà solide, ma dopo i campioni degli anni Ottanta e Novanta, lì si avverte soprattutto il problema di una crisi generazionale piuttosto accentuata”. Quale Lpr vedremo la prossima stagione? “L’obiettivo è sempre quello di migliorarsi. In questa ottica, avendo rinunciato a Santambrogio e Napolitano, sarà fondamentale che i nostri tecnici scelgano i giovani giusti, quelli che, sul piano delle prospettive e delle potenzialità tecniche, possono offrire le maggiori garanzie. Un compito non facile, ma visti i precedenti, sono convinto che, anche stavolta, non sbaglieranno”. Intanto, si riparte da Dario Pieri… “Il corridore non si discute. Sul piano delle potenzialità è un atleta in grado di farci compiere un importante salto di qualità. Certo, si tratterà di valutarlo dal punto di vista degli stimoli, ma se l’abbiamo ingaggiato, significa che, anche da questo punto di vista, ci ha convinti. Sappiamo di avere in squadra un grosso calibro, ma molto dipenderà da lui”. E sul fronte dei corridori svizzeri? “La porta è sempre aperta. Offrire una chance nel professionismo a giovani corridori ticinesi rappresenta, anche oggi, una delle nostre priorità. Certo, oggi il prototipo del ciclista professionista è radicalmente cambiato. Le gambe non bastano più, serve anche una nuova mentalità, la consapevolezza di far parte di un ingranaggio complesso, che non si esaurisce quando si smonta dai pedali. Ci sono sponsor da fidelizzare, i doveri nei confronti dei media, la necessità di collaborare ad iniziative di marketing o di branding da cui le squadre professionistiche non possono più prescindere. Insomma, non facciamo casting per i media, ma neppure possiamo circoscrivere la scelta dei nostri corridori ad una componente solamente atletica. Il ciclista professionista deve sapersi calare in una realtà nuova, perché questa è la direzione che sta imboccando il ciclismo e noi, almeno in questo, non vogliamo stare nel gruppo degli inseguitori”.
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