BOTTA&RISPOSTA con Alessandro De Marchi

| 23/04/2011 | 09:19
«Sempre all’attacco!»: è questo il motto di Alessandro De Marchi, ventiquattrenne friulano, neoprofessionista dell’Androni Gio­cattoli, presenza fissa delle fughe che hanno caratterizzato le corse di quest’inizio stagione.
Come ti presenteresti?
«Che domandone! Sono un tipo semplice, testardo, competitivo, pi­gnolo nel lavoro e (dicono) troppo buono; un atleta non trop­po veloce, ma discretamente resistente; un buon passista scalatore».
Dove abiti?
«Vivo a Buja, in provincia di Udi­ne, con mam­ma Enrica e pa­pà Renzo. Ho un fratello mi­nore, Francesco, che ha corso fino all’anno scorso tra gli Under 23 e ora è partito alla  ­ven­tura, zaino in spalla, per l’Au­­stralia».
A scuola come te la cavavi?
«Bene, mi sono diplomato al li­ceo scientifico e ora sono all’ultimo anno di Scienze motorie. Al momento non sto studiando per dare gli esami che mi mancano, ma appena avrò preso il rit­mo del professionismo, cercherò di portare a termine l’uni­versità».
Oltre ad andare in bici, cosa ti piace fare?
«Ora come ora, tra una gara e l’altra ho solo voglia di stare a casa per riposare e passare del tem­po con la mia fidanzata Mar­tina (sorride, ndr). Sono appassionato di moto, ho un’Aprilia 125 e di tanto in tanto mi diverto facendo delle corse con gli ami­ci».
Come hai scoperto il ciclismo?
«Per caso, da G1. Ho praticato diversi sport (nuoto, basket…) fin­ché ho partecipato a una gimkana promozionale organizzata a scuola e mi sono innamorato delle due ruote».
Se a scuola non avessero organizzato quella gimkana ora che lavoro faresti?
«Non ne ho idea, mi pongo spesso questa domanda, ma non ho an­cora trovato una risposta. Vi­sti i miei studi, di certo qualcosa nell’ambito dello sport».
Come sei arrivato al professionismo?
«Superando tante difficoltà. Ho sempre scelto di non militare nei grandi squadroni che dominano il mondo dilettantistico e ho aspettato sei anni prima del “gran­de passo”. Gra­zie a Ro­ber­to Bressan, presidente del Team Friuli, sono riuscito a fa­re un sal­to di qualità nella categoria Elite e ho ot­te­nuto ri­sultati che sono serviti a farmi notare».
E l’incontro con Gianni Savio com’è avvenuto?
«L’anno scorso a Mori ho cono­sciu­to Ales­sandro Ber­tolini ai cam­pionati ita­liani di pi­sta e ho avuto l’oc­ca­sione di correre sette gare a fine settembre con la An­droni, come stagista. A quanto pare sono stato giudicato all’altezza della situazione, quindi eccomi qui».
Che aria si respira all’Androni Giocattoli?
«La migliore che può sperare un ragazzo che deve imparare. È un team molto professionale, in cui non c’è troppa pres­sione per il risultato; è com­posta da tanti gio­vani, combattivi e con voglia di fare, una grande famiglia».
Com’è cambiata concretamente la tua vita dal 1° gennaio 2011?
«Il passaggio al professionismo mi ha reso ancora più responsabile. Ora le mie giornate ruotano tutte attorno alla bici; il ciclismo è il mio lavoro, quindi sento il dovere di allenarmi come si deve e fare la vita da atleta».
In che corsa hai debuttato?
«Alla Parigi - Bruxelles. Mi è sta­to chiesto di andare in fuga, io ho preso alla lettera gli ordini di squadra tanto che ho fatto 200 km lontano dal gruppo e sono stato ripreso ai 20 km dall’arrivo. Sono rimasti tutti sorpresi dalla mia azione, io compreso».
Sei stato protagonista di lunghe fu­ghe anche al Giro di Sardegna e alla Milano Sanremo… Ci hai preso gusto?
«È il mio compito, faccio semplicemente quello che mi viene chiesto. Stare in testa alla corsa mi dà soddisfazione, non tanto per la visibilità che ne consegue, ma per i complimenti che ricevo dai miei compagni. Sentirsi ringraziare dai propri capitani per il lavoro svolto equivale quasi a una vittoria ».
Nelle categorie minori sei stato azzurro della pista.
«Sì, la pista mi ha dato tanto. Ho corso mondiali, europei, prove di coppa del mondo nelle discipline endurance: inseguimento individuale, quartetto, dietro der­ny. Ho intenzione di continuare a disputare qualche gara nei velodromi, ma non è facile conciliare l’attività su strada con quella in pista. È un impegno in più, ma sono convinto che se si programma la stagione in maniera adeguata, si possono praticare entrambe le attività».
Cosa ti aspetti per il tuo primo anno tra i grandi?
«Continuerò a lavorare, giorno per giorno. Darò il massimo co­me ho fatto in questi mesi, senza pensare al risultato personale. Per quello è ancora presto».
Da dilettante portavi a casa due corse all’anno, vorresti mantenere questa media?
«Magari!».
Cosa ti auguri per il futuro?
«Di continuare a fare questo lavoro il più a lungo a possibile e di vivere in una bella casa con Martina, felici e contenti».

di Giulia De Maio
da tuttoBICI di Aprile


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