Il Corriere dello Sport. Campione di stile ed eleganza
| 08/02/2010 | 10:04 Azzurro, e sole. La giornata del primo Rally Ronde di Larciano si annunciava finalmente bellissima. E invece è stata tragica, straziante. La Renault Clio numero dieci, guidata dal pilota toscano Alessandro Ciardi, è entrata in prova alle 8.39. Sei chilometri più tardi della vita di Franco Ballerini, navigatore di Ciardi e ct del ciclismo italiano, rimaneva soltanto un filo di speranza. Troppo sottile per tenere oltre i quaranta minuti di tentativi di rianimarlo. Lo hanno trasportato all’Ospedale di Pistoia, dove alle 10.15 è stato dichiarato ufficialmente morto.
L’IMPATTO - Un muro di pietra appena graffiato, il numero civico, otto, disegnato su una placca di ceramica azzurra, adesso scheggiata. E’ la villa di uno svizzero, in un bosco fra i saliscendi, un posto che si chiama Casa al Vento, ed è bello come il suo nome. All’uscita della curva, la Clio bianca guidata da Ciardi ha sbandato, due ruote sono finite nell’erba, e la macchina è andata a sbattere contro il muro di cinta della villa, in pietra. La Clio è rimbalzata via, e si è fermata sul terrapieno di fronte, ma per Ballerini l’impatto era stato fatale. I soccorsi erano a poche centinaia di metri, ci hanno messo poco più di un minuto ad arrivare. Ma era già tardi.
I DANNI - Il roll-bar dell’auto ha resistito all’impatto, probabilmente Ballerini è stato ucciso dalla decelerazione. Saranno l’esame della vettura, che è sotto sequestro, e l’autopsia a dare queste risposte. Ballerini presentava gravi lesioni cerebrali, fratture alla base cranica, al torace e agli arti inferiori. La famiglia ha dato l’assenso alla donazione degli organi, ma per ragioni cliniche è stato possibile espiantare soltanto cornee e cute. Quanto al pilota, Ciardi, è ricoverato a Pistoia con fratture al bacino e non sarebbe in pericolo di vita.
IL TAM-TAM - Sono stati gli stessi organizzatori del rally ad avvertire dell’incidente Sabrina Ballerini, da vent’anni moglie del ct azzurro, che abita a pochi chilometri dal punto dell’impatto e che è immediatamente corsa all’ospedale di Pistoia, dove è arrivata prima dell’ambulanza. E’ stata lei stessa a raccontare quello che era successo al figlio Matteo, dodici anni. L’altro figlio, Gianmarco, sedici anni, stava giocando la sua partita d’esordio negli Allievi della Lucchese (si è appena trasferito dall’Atalanta), e il nonno Luigi Ricasoli, il padre di Sabrina, ha aspettato la fine dell’incontro per dirgli tutto. Intanto all’Ospedale di Pistoia è cominciato subito un pellegrinaggio continuo. Parenti, amici, colleghi, semplici cicloamatori che passavano di lì. Tutti hanno voluto salutare Ballerini, da Alfredo Martini a Paolo Bettini, che con Franco ha condiviso anche quest’ultima passione, da Cipollini a Bartoli, da Scinto a Tafi. Questa zona è la culla del ciclismo, e in pochi chilometri vivono moltissimi corridori ed ex corridori. E qui è successo tutto, sulle strade che il Bàllero conosceva da sempre.
da «Il Corriere dello Sport» dell'8 febbraio a firma Alessandra Giardini
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Più che delle Roubaix vinte, con il Bàllero si finiva sempre per parlare di quelle perse. Una soprattutto. «Avrei voluto dedicarla a mio padre, era l’unica corsa che veniva a vedere. Non mi perdonerò mai di essermi fatto battere in volata da Duclos-Lassalle». Era la primavera del ‘93, e papà Ballerini era morto il dicembre prima: ucciso dal cuore mentre era in bicicletta a cinquecento metri da casa. Troppo presto, senza neanche il tempo di vedere al mondo Gianmarco, il più grande dei suoi nipoti. Troppo presto, a pochi chilometri da casa, su un pezzo di asfalto che conosceva a memoria: lo stesso destino diciassette anni più tardi, ieri, si è portato via anche suo figlio Franco. Gli piacevano le corse, e più di tutte gli piaceva la Roubaix, chissà, forse perché assomiglia a un rally. E comunque per quella corsa unica al mondo aveva un talento speciale. Sul pavè il suo fisico imponente scivolava leggero, guidato da un istinto innato. «Attitudine, talento, chiamalo come vuoi: è quando ti viene facile una cosa che per gli altri è complicata. Io non ero abbastanza veloce, per vincere dovevo staccare gli altri. E gli altri li stacchi in salita o sul pavè. Io in salita ero un paracarro, ma per fortuna sul pavè volavo. Il pavè lo devi aggredire, altrimenti ti respinge. Una salita puoi decidere di farla piano, un pezzo di pavè no. E’ una gran bella fatica quando vedi che gli altri arrancano e tu ce la fai. Ti si moltiplicano le forze». Di talenti Bàllero non aveva soltanto il pavè. Era una persona perbene, leale, diritta, e non perché adesso non c’è più. Bello, garbato, elegante anche quando arrivava nel velodromo sporco di fango, il Bàllero ispirava fiducia: pensare che c’era lui nel ciclismo era ancora oggi una garanzia di serietà, un argine al peggio. Aveva smesso di fare il corridore nel 2001, proprio nel più famoso velodromo del mondo, e sulla maglietta infangata dal pavè aveva scritto Merci Roubaix, grazie. Salutava così, in quella che era stata casa sua, il mondo per il quale cominciava a sentirsi vecchio. «Vorrei stare un po’ di più a casa con Sabrina, e con i bambini». Sabrina aveva soltanto diciannove anni quando Franco le disse che si sarebbero sposati in ottobre. «Dovevo stare via un po’ per certe gare. Fece tutto da sola, anche il corso dal prete. Ma mi sposò». Quando il Bàllero fece l’ultima Roubaix Matteo era ancora piccolo, ma Gianmarco soffriva per quel babbo sempre in giro a correre. «Infatti il ciclismo non gli interessa, preferisce il calcio». Franco aveva trentasei anni, e affrontò la vita nuova con i suoi occhi sorridenti e la battuta pronta. «Non mi fa paura il dopo, spero di trovare qualcuno che mi insegni qualcosa, finché fai il corridore sei servito e riverito, ma la vita normale è un’altra cosa, bisogna imparare tutto». Non ci mise molto. Pochi mesi dopo, nell’estate del 2001, aveva già accettato di diventare ct della Nazionale, aggiungendo leggenda a leggenda: in nove anni ha vinto quattro volte i Mondiali (due con Paolo Bettini, una con il suo grande amico Mario Cipollini, e l’ultima con Alessandro Ballan) e un oro olimpico, ad Atene, ancora con Bettini. In novembre era andato a Melbourne a studiare il percorso dei prossimi Mondiali. A casa insomma non c’è mai stato molto, al traguardo delle corse c’era spesso anche lui, a tenere assieme il gruppo che aveva scelto di guidare. Lavoro, sacrificio, esperienza, due risate, una inesauribile riserva di barzellette per tenere alto il morale. E da un po’ di tempo si era inventato un altro modo di correre, questa volta in macchina. Un modo di morire, contro un muro, e lì che la sua vita bella è volata via.
Alessandra Giardini
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Spezzato dal dolore, Alfredo Martini trova le parole per accarezzare un’ultima volta quello che ha sempre considerato un figlio. Il vecchio ct del ciclismo italiano (il Bàllero non ha mai smesso di chiamare lui ct, come noi del resto) è stato uno dei primi ad arrivare alla cappella dell’Ospedale di Pistoia, dove poche ore prima Franco Ballerini era stato dichiarato ufficialmente morto e dove adesso hanno allestito in fretta e furia una camera ardente perché il mondo del ciclismo abbia un luogo dove piangere in pace. «A casa mia era uno di famiglia, un parente stretto», racconta Martini, che almeno due o tre volte la settimana vedeva arrivare il Bàllero. «Un caffè, due chiacchiere, una scusa come un’altra. Per me era un figlio, e per le nostre bimbe era uno di casa». Non ha neanche la forza di piangere, Alfredo, che mai avrebbe pensato di dover salutare per sempre quel suo ragazzo tanto amato che lui stesso aveva scelto come suo successore. «Ne parlavamo proprio ieri sera (sabato, ndr). Gli dicevo: vai piano, Franchino, stai attento, stai fermo, ma cosa ti sei messo a fare. Ma lui mi rispondeva: non è rischioso come pensi te, stai tranquillo».
Alessandra Giardini
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Gli occhi scuri di Paolo Bettini luccicano di lacrime. Se Martini ha perso un figlio, Bettini ha perso «un fratello». Con il quale ha avuto in comune anche la passione dei rally. «E’ stato proprio lui ad avvicinarmi a questo mondo. Eravamo tornati bambini, ci divertivamo». Un muro di pietra, e niente potrà più essere come prima. Non era il primo incidente per Ballerini: gli era già successo proprio in coppia con Bettini lo scorso marzo, a Porto Azzurro, e poi ancora in novembre, all’esordio da pilota, quando finì in un fosso senza conseguenze. «E’ un paradosso. Ha rischiato la vita mille volte in corsa, faceva la Roubaix senza casco (allora non era obbligatorio, ndr), si buttava in discesa a tutta velocità. Mai un problema. Adesso che correva con tutta la sicurezza possibile, ha pagato il conto». In un incidente stradale, a pochi metri da casa, Bettini aveva perso anche suo fratello Sauro, pochi giorni dopo la sua prima vittoria Mondiale. E proprio Ballerini lo aveva aiutato a ricominciare. «E’ facile dire che abbiamo perso un grande, lui lo era davvero. Sempre lucido, pacato, sempre capace di trovare una soluzione anche nelle situazioni più critiche. E adesso non c’è più».
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