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La targa per un campione ciclista di un secolo fa, vincitore di tappa due volte al Giro, recordman del mondo per le lunghe distanze in pista, Carmine Saponetti… Eravamo lì, le istituzioni civili e religiose, i suoi figli, i nipoti, le persone sobrie del luogo, in sabato di fine ottobre, 35 anni dalla scomparsa, che ravvivava da primavera una memoria ed un mondo di olivi secolari. Le parole, le belle parole, le voci chiare, il Sindaco, il parroco, un giornalista, le parole, quanto belle le parole il loro suono, anche senza musica, sembrare tutti cantautori, il cielo grigio, il prato, la brughiera…
Eravamo lì, non pochi non tanti, solitudini che In nome di un ciclista si facevano buona compagnia. E di un tratto, una mano sul tuo braccio, un signore minuto anziano molto, che ti chiama con la mano sul braccio, ti sollecita con la mano, accompagnata da una donna più giovane…. E i suoi gesti nell’aria ad indicare non rondini o alberi o traiettorie ardite di stanchi gabbiani, ma il cielo e un rudere di manufatto e una casa colonica di fronte. E tu che parlavi e cercavi risposte al perché dei gesti anomali e bruschi, e la sua voce che non era voce, ma la informe presenza di un suono gutturale incoerente…’
«Lo scusi, dottore, è mio padre, purtroppo portatore di una afasia completa dopo un ictus cerebrale, trenta anni fa, a quei tempi non c’era mica la logopedia, né i soldi per cercare centri moderni, quaggiù…». E i suoi arcani accenti di cuore e batticuore nei movimenti, omerici, un cerchio un indice una emozione, la figlia che traduceva per confidenza acquisita negli anni il suo lessico ignoto… «Dottore, credo che voglia farvi capire che questo ciclista di tanti decenni fa lui l’aveva conosciuto bene, perciò i gesti così intensi, e quel manufatto forse era la scuola dove erano andati insieme, forse però…».
E tu ti emozionavi come giammai, per il pensiero che un ciclista non più vivo, in uno spiazzo pausa della nostra esistenza fuggitiva, sapesse ancora dare fiato. Anche a chi voce espressiva più non aveva. E di quanto clamore inutile allora del nostro quotidiano, sportivo e non, questo silenzio che sorgeva esclamativo dal cuore poteva spegnere ogni megafono, azzerare ogni audio. Ricordando un ciclista, senza voce e poca luce, e sentirsi miracolosamente meno soli.
 
              
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