
Ieri pomeriggio alla presentazione della Nazionale Italiana per il mondiale di ciclismo di Kigali abbiamo avuto l'occasione di scambiare qualche battuta con Marco Frigo, unico azzurro in forza al Team Israel PremierTech, al centro del ciclone per il genocidio in corso a Gaza. Il 25enne di Bassano del Grappa, legato da contratto alla formazione israeliana anche nel 2026, è reduce dalla Vuelta a España segnata dalle forti proteste Pro Palestina che hanno portato fino all'annullamento dell'ultima tappa e delle tradizionali premiazioni. Prima di prendere il volo verso il Ruanda, dove parteciperà alla prova team relay e in linea, non si è sottratto alle nostre domande, nonostante la delicatezza e scomodità della posizione in cui si trova.
Marco, quanto sei contento di togliere la maglia della Israel e indossare quella azzurra?
«Rappresentare il proprio paese in una competizione così è speciale e per me è un grosso stimolo. Quest'anno mentalmente non è stato semplice, arrivo da una Vuelta che di testa mi ha “asciugato”. Posso dire che per me, personalmente, la maglia azzurra è un simbolo di freschezza. La condizione è molto buona, non vedo l'ora di fornire il mio contributo al CT Marco Villa e a tutto il gruppo della Nazionale» .
Quanto è stato pesante questo periodo?
«In allenamento non sono mai stato attaccato in alcun modo, alle gare l'aria si è fatta pesante. L'ultima giornata della Vuelta non è stata una grande pagina di sport. Doveva essere uno spettacolo per il pubblico e l'ultima frazione di un grande giro è sempre sentita anche da noi corridori, che veniamo raggiunti da parenti e amici. Non c'è stata alcuna festa. Peccato, soprattutto per i tifosi».
Cosa pensi dei manifestanti?
«Capisco le loro motivazioni, ma non capisco quando vanno oltre. Ognuno ha giustamente la proprio libertà di protestare e comprendo che la Vuelta in Spagna sia un buon palcoscenico per le proteste, ma non capisco perché si vada ad intaccare l'integrità dello sport e lo svolgimento di una gara. Ribadisco il concetto: chi protesta in maniera pacifica lo capisco, gli altri non li comprendo e li condanno».
Lo sport è storicamente messaggero di pace. Cosa ti aspetti dai primi mondiali africani della storia?
«Spero siano una bella festa di pubblico. All'idea di essere al via provo un'emozione grande. L'anno scorso sono stato riserva, non ho corso ma ho comunque assaporato l'atmosfera iridata, quindi quello di quest'anno lo vivo come un “mezzo debutto”. Sarò al servizio della squadra e dei nostri capitani. Siamo consapevoli che la starting list presenta tutti i migliori al mondo e dei nostri mezzi. Sarà una prova ad eliminazione in cui promettiamo di dare il massimo. Sarà una bella gara».