
Juan AYUSO. 10 e lode. Aggiunge sale ad una pietanza già saporita da anni. Entra prepotentemente a 22 anni (dicasi ventidue) nel circolo di quei corridori nati pronti, che scalpitano, che sgomitano, che chiedono spazio e se non glielo dai se lo prendono con forza. È un ribelle, uno che non è abituato a fare buon viso a cattivo gioco. Se gioca a carte le vuole dare lui, magari anche calarle, una in fila all’altra. Vince sul traguardo del suo mentore Matxin e lo fa con una personalità che lo rende più grande di un ragazzo appena ventenne. Un vero cecchino, che non sbaglia un colpo e “spara” il suo secondo acuto in questa Vuelta che lo porta a contare fin qui sedici vittorie in carriera, ottava quest’anno, la numero 78 per il suo team. Il ribelle non si agita, vince. Il modo migliore per farsi capire: da tutti.
Javier ROMO. 9. Fa una grande corsa, anche oggi, ma può ben poco con quel ragazzo che è destinato a diventare uno dei punti fermi nel firmamento del ciclismo mondiale. Ha la sfortuna di doversi giocare una tappa allo sprint con Ayuso: averlo lì alla ruota era già una sentenza.
Brieuc ROLLAND. 8. Il 22enne transalpino della Groupama FDJ si porta a casa un terzo posto di sostanza, che dice che questo ragazzo ha talento e tenuta, qualità che vanno affinate, messe a punto, oliate, ma non è scontato averle. Si dice orgoglioso di quello che ha fatto: ne ha tutte le ragioni.
Victor CAMPENAERTS. 7,5. Un vero gladiatore, che su ogni terreno fa vedere chi è di un livello diverso: e lui ha un altro livello.
Mads PEDERSEN. 10. È da giorni che fa il diavolo a quattro per raccogliere punti per la maglia verde e per provare a vincere una tappa. Arriva quinto in una frazione che era corta ma mozzafiato. Lui ci arriva respirando benissimo, per me lui è aria pura.
Santiago BUITRAGO. 5,5. La tappa gli sorride, difatti si butta a capofitto nel vivo della corsa. Purtroppo, però, perde alcune ruote.
Mikel LANDA. 6,5. Non è al meglio, non è top, eppure nel finale prova a inventarsi qualcosa e prova a lasciare un segno: buon segno.