
Quando non c’è che la bici. Una bici per andare a lavorare, una bici per andare a studiare, una bici per andare a casa, o semplicemente una bici per cercare tutto questo, lavoro studio casa. Una bici per cominciare a vivere e, nel loro caso, per ricominciare a vivere.
Migranti. Indiani nell’agro pontino. Ottant’anni fa gli emigranti nell’agro pontino erano italiani. Gli italiani, allora, a bonificare, gli indiani, oggi, a coltivare. Campi e campagna per campare. Spezzandosi la schiena. Ma questa è la vita, la terra è bassa, a qualsiasi latitudine.
Era il 2013 quando Filippo Trojano, romano, scattò la prima fotografia – quattro indiani, sotto la pioggia di marzo, in bicicletta -, il primo di duecento ritratti dedicati a questi migranti del Punjab, in particolare a quelli che abitavano in una specie di ghetto sulla litoranea. Le fotografie sono diventate prima una mostra, poi, selezionatissime, un libro.
Copertina fucsia di seta. Titolo: “Mandeep e altri racconti”. Sessantaquattro pagine, quaranta fotografie, una mappa, i testi di Augusto Pieroni e dello stesso Trojano, la cura di Enrico Delogu, l’edizioni Punctum di Roma. Quattrocento copie, una regalata da Trojano a me, destinata alla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza.
Gli uomini (ma ci sono anche alcune donne e bambini) non hanno bisogno di testo né di didascalie. Fieri, orgogliosi, pacifici, forti, segnati ma non piegati dalle disavventure e dai sacrifici, raccontano silenziosamente le loro storie fatte di viaggi, stenti, speranze. Le biciclette sono tutto meno che da corsa: da uomo, da donna, da passeggio, mountain bike poco agonistiche, sanno tutte di ricicli, risparmi, riparazioni, anche vita comunitaria, soprattutto quella bicicletta da bambino, anzi, da bambini, tre, contemporaneamente.
Ma una bici non serve solo ad andare e venire, andare e tornare, andare e cercare sperando di trovare. Una bici serve per sognare. Gli indiani, che sognano una nuova vita, e a distanza di anni chissà che non l’abbiano finalmente raggiunta con la dignità che si meritano. Ma anche lo stesso Trojano che, con l’inquietudine di chi cerca la verità a parole o a immagini, vuole raccontare la vita.
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