
In gruppo c'è il mondo, ma spesso il piccolo mondo del ciclismo sembra dimenticarsi di ciò che accade attorno ad esso. A ricordarcelo ci pensa Alessandro De Marchi, che ha rilasciato un'interessante intervista al periodico britannico The Observer.
Sono sollevato di non essere un corridore della Israel-Premier Tech è il titolo del pezzo firmato da Chris Marshall-Bell in cui il 39enne friulano racconta di quanto stia soffrendo per il genocidio palestinese in corso a Gaza e di quanto sarebbe stato in difficoltà se fosse ancora nella squadra in cui ha militato nel 2021 e 2022.
«Avrei fatto molta fatica a indossare quella maglia ora. Non voglio criticare nessuno perché ognuno è libero di decidere per chi correre, ma in questo momento non firmerei un contratto con la Israel. Non sarei in grado di gestire i sentimenti che provo, di essere coinvolto in una cosa del genere» spiega il Rosso di Buja, alla ultima stagione agonistica con la Jayco Alula.
La squadra Israel-Premier Tech è stata fondata nel 2014 e ha partecipato per la prima volta al Tour de France nel 2020. Nella sua storia ha vinto tre tappe, nessuna quest'anno. La scorsa settimana, un manifestante è stato arrestato dopo aver corso sul rettilineo finale dell'11a tappa indossando una maglietta con su scritto “Israele fuori dal Tour”. Manifestanti anti-israeliani sono stati attivi anche durante la 17a tappa, ma anche nel corso di tutto il Giro d'Italia. La Israel-Premier Tech non è una squadra di proprietà dello Stato, anche se ha ricevuto una piccola somma dal Ministero del Turismo israeliano.
La squadra è finanziata dal miliardario canadese-israeliano Sylvan Adams e dall'uomo d'affari americano Ron Baron. Adams ha dichiarato che la squadra può promuovere una “visione più realistica” dell'Israele moderno, definendo i suoi corridori “ambasciatori del Paese”. Quest'anno, Adams ha assunto un ruolo sempre più politico, partecipando all'insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti a gennaio. È stato definito “ambasciatore non ufficiale” di Israele e a giugno ha incoraggiato Trump ad attaccare l'Iran, pochi giorni prima che lo facesse.
La pericolosa situazione finanziaria del ciclismo, unita al fatto che la maggior parte dei corridori ha solo una breve carriera sportiva, fa sì che De Marchi capisca perché i corridori non si fanno scrupoli a firmare per Israel-Premier Tech. Afferma che la guerra a Gaza di solito non viene discussa tra i corridori.
«All'epoca [nel 2021] mi diedero la possibilità di continuare a correre ai massimi livelli, mi diedero un buon contratto e un buon stipendio, e io guardavo alla casa che dovevo costruire e alla mia famiglia. Anche per altri colleghi è lo stesso. Naturalmente ora sono più vecchio e posso riflettere come non facevo cinque anni fa, e mi rendo conto che nella vita ci sono momenti in cui, anche se può essere difficile, è meglio seguire la propria morale. In questo momento farei le cose in modo diverso» continua Alessandro, che ha al suo fianco Anna ed è papà di due bambini.
Parlando del suo periodo con la squadra israeliana, De Marchi, che nell'ultimo anno si è dedicato attivamente alla lettura e all'approfondimento della storia del conflitto, aggiunge: «All'epoca capivo davvero poco di Israele. Le persone dietro la squadra avevano il desiderio di mostrare le bellezze del Paese - questa era una politica chiara del team - ma non c'erano mai sentimenti contro Gaza o i palestinesi, o riferimenti all'occupazione in Cisgiordania. C'era una propaganda più leggera, diciamo, in cui veniva proiettata la visione di Israele. Si percepiva che era una società complessa e divisa. Ma si vedeva anche che non c'era spazio per discutere di Gaza».
Nonostante le sporadiche piccole proteste contro la squadra israeliana in varie gare del calendario ciclistico, nel complesso il ciclismo ha taciuto sulla guerra, insistendo sul fatto che sport e politica non si mescolano. De Marchi, tuttavia, vorrebbe che l'UCI si occupasse almeno della guerra, anche se è improbabile che prenda le stesse misure adottate contro la Russia all'inizio dell'invasione dell'Ucraina, che ha portato l'organo di governo dello sport a bandire i corridori russi da tutti gli eventi del calendario internazionale UCI. Il divieto è stato poi revocato nel 2023.
«Abbiamo bisogno di vedere un'azione concreta da parte del nostro organo di governo per posizionare il mondo del ciclismo dalla parte giusta e per mostrare consapevolezza di ciò che sta accadendo a Gaza. Dobbiamo dimostrare che come mondo del ciclismo ci preoccupiamo dei diritti umani e delle violazioni del diritto internazionale» conclude Alessandro De Marchi, che ha sempre al polso il braccialetto giallo che chiede verità per Giulio Regeni.
L'Observer ha contattato il team Israel-Premier Tech, che ha dichiarato di non poter commentare un'“opinione personale”.