
«Se prima eravamo in otto (professionisti) a correre i mondiali, adesso siamo in cinque a correre i mondiali. Se prima eravamo in 6 donne elite a correre i mondiali, adesso siamo in quattro a correre i mondiali. Se prima eravamo in 6 under 23 a correre i mondiali, adesso siamo in 4 a correre i mondiali». Perdonate la parafrasi canterina, invero poco “woke”, che riporta al ritornello dell'Alligalli, con quella nota strofa rimata impronunciabile nel 2025.
Qui c’è di mezzo la nazionale italiana di ciclismo, che in conseguenza di drastica spending review federale ha annunciato una delegazione a ranghi ridotti, corridori e staff, per la rassegna iridata del settembre prossimo a Kigali. Verrebbe da dire che gli azzurri non saranno i soli ad aver ristretto la propria selezione, visto quanto analogamente scelto da Olanda oppure Danimarca e Francia. Dall’Inghilterra e dal Belgio arriva però la conferma di partecipazione in toto delle rispettive nazionali, proprio mentre il presidente della Federazione Ciclistica del Rwanda, Samson Ndayishimiye, ha rassicurato: “tutto procede secondo quanto dovuto in termini di organizzazione e la sicurezza che possiamo garantire è massima, come dimostrato al Tour du Rwanda di febbraio”.
Parole che Ndayishimiye ha pronunciato dall’Inghilterra, dove ha assistito alla tappa finale del Tour of Britain, aggiungendo come proprio gli inglesi ed i belgi abbiano recentemente confermato la loro presenza. Nel caso del Belgio, lo sport sembra al riparo da contrapposizioni dopo l’interruzione dei rapporti diplomatici tra Kigali e Bruxelles, a seguito delle controversie legate al conflitto nel Congo. Dopo che Nathalie Clauwert, direttore generale della federciclo belga, ha confermato la partecipazione della propria selezione, è toccato al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Olivier Nduhungirehe, esprimere soddisfazione: “Si tratta di una decisione positiva che va nella giusta direzione. La squadra del Belgio è benvenuta come tutte le altre per un mondiale che per la prima volta si svolgerà in Africa. Si tratterà di una festa popolare» ha spiegato il membro di Governo.
Dall’Inghilterra, intanto, Ndayishimiye ha commentato la decisione di schierare selezioni ridotte da parte di alcune nazioni: “dipende dai mezzi che si hanno, questo sport è costoso per tutti, non solo perchè è un Paese africano ad ospitare la rassegna”. Senza cadere nel tranello delle contronarrazioni agiografiche sulle sorti progressive dell’African Cycling, la decisione ratificata dal Consiglio della Federciclismo sembra (purtroppo, lieti di essere clamorosamente smentiti con un risultato memorabile tra gli Elite uomini)incidere non più di tanto sul livello stellare della corsa clou che si disputerà sul durissimo percorso della capitale rwandese.
CAST STELLARE E PORTALE PRENOTAZIONI
Mettiamola sul cinematografico: sulla locandina campeggiano a caratteri cubitali tre nomi, il detentore uscente Pogacar e con lui Jonas Vingegaard e Remco Evenpoel. “Crème de la crème” per dirla alla francese, visto che l’organizzazione si avvale di Aso in cordata doppia con la belga Golazo per ciò che riguarda l’accomodation. Già, gli alberghi, il cui alto costo viene addotto tra le motivazioni per i tagli alla spesa di questa o quella nazionale. Non guasta un po’ di fact-checking comparativo rispetto a Montreal, sede dei mondiali del 2026, non proprio economica come destinazione, se si pensa che pernottare in un quattro stelle in Canada – così parlò booking- comporta la stessa tariffa praticata in Rwanda, dove Uci ha adottato un doppio binario, uno per le nazionali e l’altro per gli spettatori o i media, per agevolare le prenotazioni. In collaborazione con la potente Visit Rwanda (struttura che non è improvvisata onlus bensì strutturato, munifico sponsor del Psg e dell’Arsenal), è stato allestito un portale (www.travelzuri.com) attraverso il quale si può ad esempio scegliere il Delight Hotel, quattro stelle superiore dove al recente Tour du Rwanda in febbraio pernottarono, soddisfatti al check-out, squadre come la Uae Gen Z o Israel.
DOPPIA IN QUATTRO STELLE A 260 EURO
Basta un clic: dal 22 al 23 settembre si pagano 260 euro per una doppia standard, nulla di esorbitante verrebbe da dire. Sui costi aerei, organizzare una spedizione all’Equatore con certe esigenze di logistica non è agevole? «D’accordo, come non lo era per l’Australia e come non lo sarà in Canada»- dice chi pensa che l’argomento del caro voli sia un po’ ipernarrato. In queste situazioni muoversi da isolati, senza bici al seguito(un bagaglio da 23 kg comunque incluso), diventa vantaggio competitivo: biglietto aereo alla mano, andata e ritorno da Malpensa a Kigali a 494 euro, vettore Egyptair, mentre con la più blasonata Turkish si sale a 700. In economy, ovvio.
Mentre anche la nazionale belga ha annunciato la propria presenza, a fronte delle tensioni diplomatiche tra governi, resta la questione vaccinale (febbre gialla, malaria) e qui c’è chi si è portato avanti col lavoro come Evenepoel, che ha fatto la profilassi a dicembre scorso. Parebbe più insormontabile rispetto al problema vaccino il Mur de Kigali(400 metri in pavè a 11 per cento), il fatto di gareggiare a 1500 metri e oltre, un dislivello complessivo di 5475 metri. Numeri con cui familiarizzare, a cento giorni dal Mondiale nell’accogliente Paese delle Mille Colline. Evento storico per tutto il Continente.