MARCO GABUSI: «IN BICI E IN POLITICA SI IMPARA IL SACRIFICIO E A STARE IN GRUPPO»

INTERVISTA | 14/12/2020 | 07:45
di Franco Bocca

E' stato sindaco di Canelli dal 2009 al 2019 e, durante il secondo mandato, anche Presidente della Provincia di Asti. Attualmente è Assessore regionale ai trasporti, opere pubbliche, protezione civile e personale, oltre che marito di Elisa e padre di Alice, che ha sette anni. Ma forse non tutti sanno che in gioventù Marco Gabusi, 40 anni, aveva corso in bicicletta con buoni risultati, collezionando una quarantina di vittorie.


Marco, ci riassuma il suo passato da corridore ciclista...


«Ho cominciato nel 1987 nel Pedale Canellese, dove ho fatto tutta la trafila giovanile: sei stagioni tra i Giovanissimi, due da Esordiente e due da Allievo. Nel '97 sono passato tra gli Juniores nel Sassi-Katoxyn di Torino».

Perchè ha scelto di correre in bici?

«Perchè ero un bambino sovrappeso. Infatti nei primi anni venivo spesso doppiato o comunque finivo nelle ultime posizioni. Ma a me interessava soprattutto fare dello sport».

Poi però è migliorato e ha imparato ad andare forte...

«La mia stagione più bella è stata la seconda tra gli Allievi, nel 1996, quando ho vinto quattro corse su strada, sette circuiti notturni tipo-pista e il campionato regionale dell'inseguimento individuale. Tra gli Juniores ho conseguito tanti piazzamenti ma un solo successo su strada, nel '98 a Centallo. Ma ho avuto la soddisfazione di rappresentare il Piemonte in tante edizioni dei campionati italiani, sia su strada sia su pista».

La sua più bella vittoria?

«Sicuramente quella che ho ottenuto per distacco nel '96 ad Agliano, praticamente a casa mia. E' stata davvero impagabile l'emozione di arrivare da solo e di godermi l'ultimo chilometro con tante persone che mi battevano le mani».

E la più grande delusione?

«Non riguarda me ma un mio compagno di squadra del Sassi-Katoxyn, anche lui di Canelli: Giovanni Vietri. Nel campionato regionale Juniores del '97 era il grande favorito e invece arrivò secondo. Probabilmente ci furono errori di squadra».

Perchè decise di smettere a soli 18 anni?

«Nel 1999 avrei dovuto debuttare tra gli Under 23, ma un dolore al ginocchio e la consapevolezza che i sacrifici negli anni successivi avrebbero condizionato altre scelte di vita mi hanno portato, a malincuore, al ritiro. Subito dopo sono entrato in consiglio comunale a Canelli».

Ci sono persone, nell'ambito del ciclismo, per le quali prova riconoscenza?

«Ce ne sono tante, e ancora oggi sono legato a coloro che mi hanno accompagnato nella mia crescita sportiva: i fratelli Gino e Vittorio Aliberti, Dario Rolando, Palmo Bottero, Rocco Marchegiano e i compianti Luigi Gandolfo e Francesco Pascarella. E poi c'è la mia famiglia: papà Luciano, mamma Tommasina, mia sorella Chiara e nonna Maria, che ha 98 anni e ha sempre fatto il tifo per me».

C'è un episodio dei suoi anni giovanili in bici che ricorda con emozione?

«Tra i Giovanissimi noi del Pedale Canellese eravamo una delle società più numerose del Piemonte, nel meeting nazionale di Pesaro eravamo orgogliosi di sfilare con il cartello "Asti"».

In definitiva, che cosa le ha insegnato nella vita il ciclismo?

«A vivere in gruppo, a fare da mangiare, a stare lontani da casa. Soprattutto a sacrificarsi per gli altri».

La sua carriera politica è stata rapida e brillante. Dica la verità: in futuro spera di essere eletto in Parlamento?

«Non mi sono mai posto obiettivi a lungo termine. Spero di fare bene per il mio territorio e mi piacerebbe continuare questa avventura magari senza i condizionamenti di una pandemia».

da La Stampa - edizione di Asti

 

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