L'ORA DEL PASTO. LA MAGIA DELL'ANTICO BAR FIAT

NEWS | 28/09/2020 | 07:50
di Marco Pastonesi

E’ – da sempre - un punto di riferimento: come per Nino Ceroni, lo storico organizzatore della Coppa Placci e dei Mondiali di Imola 1968. E’ – in questi giorni iridati - un punto di approdo: come per Guido Foddis, musicista e giornalista, governatore della Repubblica delle biciclette a Ferrara e creatore del Festival del ciclista lento (a proposito: si farà anche stavolta, da venerdì 30 ottobre a domenica 1° novembre). E’ – per la sua stessa natura - un punto di incontro: come è successo, l’altro giorno, a me.


Si chiama Antico Bar Fiat, si trova in viale Rivalta 69, all’angolo con via Mazzini, nel centro (o quasi) di Imola. E si chiama così perché era sorto a metà degli anni cinquanta davanti a un importante concessionario di auto. Adesso il concessionario non c’è più, ma tre volte la settimana si gode della presenza del mercato,  bancarelle e bancarellai, e qui un caffè non vale solo come un tiramisù di energia, ma anche come un sorso di umanità. Il bar è ormai un’istituzione: prima sotto la guida di Angelo, adesso sotto quella del figlio Roberto, la famiglia Fierro.


Tutto è nato dalla pubblicazione di una mia foto: il ritratto di una ruota esposta al cielo, a Bussana Vecchia. Ricordava, vagamente, la ruota di Marcel Duchamp, la celebre opera d’arte “ready made”. Roberto ha ribattuto con la sua personale ruota di Duchamp, sgabello bianco e forcella Bianchi, elevata ad annuncio matrimoniale (il suo matrimonio, non a caso, con una critica d’arte). Da qui l’impegno, la speranza, la promessa di incontrarci. E complice la rassegna mondiale, è stato così. Con la scoperta della più letteraria vetrina di ciclismo allestita per i Mondiali di Imola: da “Indro al Giro” di Indro Montanelli (Rizzoli) a “La vita è una ruota” di Alfredo Martini (Ediciclo), da “I sarti della bicicletta” di Paolo Amadori e Paolo Tullini (Ediciclo) a “Gino Bartali” di Paolo Alberati (Giunti), compresi i miei “La corsa più pazza del mondo” e “Spingi me sennò bestemmio” (entrambi Ediciclo), copie delle riviste d’epoca “il Campione” e “Lo Sport Illustrato”, e addirittura l’autografo di Eddy Merckx sulla copertina di “L’ombra del Cannibale” di Marco Ballestracci (Instar). Sopra, sospesa, una bici arancione marchiata ABF (Antico Bar Fiat). Sotto, appoggiata, una valigetta di attrezzi della Campagnolo. E su una lavagna, trascritta con gessetto bianco, la filosofia di Valerio Pasquazi: “Meccanicamente ogni pedalata coincide con un respiro strozzato, ogni marcia che cambia è un colpo di catena che ti libera da quello che hai dietro le spalle, chilometri di strada e decine di altre creature come te, metà uomo metà bicicletta”.

Si è parlato di corse e corridori, campioni e gregari, drittoni e tornanti, cadute e cotte, libri e scrittori. Ed è stato bello. Una passione ciclistica, stradale, letteraria, esistenziale, Fierro-viaria.

 

 

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