
Velodromo di Gand, 8 dicembre 1957. Riunione, omnium internazionale, Belgio-Italia. Per l’Italia: Fausto Coppi, Leandro Faggin e Virginio Pizzali. Coppi è Coppi, anche se ha 38 anni. Faggin, 24 anni, due ori olimpici a Melbourne 1956, è il campione italiano di inseguimento. E Pizzali, non ancora 23 anni, un oro olimpico nel 1956, primatista mondiale nei 200 metri lanciati, è un fuoriclasse dietro motori.
La corsa è vera. Nessuno vuole perdere, anche se si ha un bel dire che le riunioni in pista siano mezzo combinate. Cinque prove: velocità, eliminazione, dietro motori, giro lanciato, la quinta è l’inseguimento a squadre ed è decisiva, perché Belgio e Italia stanno sul 2-2. Vince l’Italia. E Pizzali è fuori di sé dalla gioia. Per la vittoria, ma anche per essere stato tutta la sera tra Coppi e Faggin, in pista e nelle cabine, tutti per uno e uno per tutti, i tre moschettieri azzurri. Fuori di sé dalla tensione, dalla pressione, dalla responsabilità, dall’emozione e infine dalla gioia, Pizzali dimentica di farsi fare, o farsi dare, consegnare, regalare una foto con Coppi.
Adesso che Coppi era Coppi, e che Faggin era Faggin, l’ottantacinquenne pimpante Pizzali non si dà pace. Spulciando nel suo archivio, scatoloni sopravvissuti ai traslochi, non ha trovato neppure una foto con Coppi. Chiedendo al suo archivista, Renato Bulfon di Mortegliano, non ha recuperato nulla neanche da quella miniera di Internet. E allora lancia un appello internazionale: possibile che quel giorno nessun fotografo abbia immortalato il terzetto italiano?, possibile che di quella serata magica di Gand non ci sia uno scatto dei tre tricolori?
La maglia era, infatti, tricolore. Consegnata da Pizzali a Bulfon, Bulfon l’ha esposta – presente Pizzali ospite d’onore - l’altra sera a Pozzuolo del Friuli (Udine) in occasione di una serata dedicata al centenario della nascita di Coppi e alla presentazione del libro “Cento Coppi” di Giacinto Bevilacqua e dello stesso Bulfon (Alba edizioni). Maglia verde, con fasce bianca e rossa, di seta. Leggera, volatile, aerodinamica. Certificata anche da un articolo della “Gazzetta dello Sport” su quello scontro internazionale pistaiolo, con la vittoria italiana in trasferta.
Pizzali, “il Mago”, ha raccontato dei suoi studi (“Elementari”), del suo lavoro (“Garzone del fornaio, e il fornaio era mio padre”), della sua prima bici (“Con la cesta da panettiere”) e anche della sua seconda (“Un’Arbos modificata da corsa”), di quando Costante Girardengo, nel negozio di biciclette di Dino Doni a Udine, gli chiese di passare professionista nella sua squadra (“E io gli risposi ‘no grazie’ perché sul libro ‘Prendi la bicicletta e vai’ di Giuseppe Ambrosini avevo letto che era meglio non passare professionista troppo giovani altrimenti c’era il rischio di bruciarsi”), di quando Edoardo Severgnini, il c.t. degli azzurri della pista, gli propose le prove dietro motori (“Gli risposi ‘ma sì’, perché avevo fatto tutto e mi mancava solo quella, lui mi spiegò che era facile, se volevo andare più forte dovevo urlare ‘alé’ e se volevo andare più piano ‘oooh’”), di quando emigrò in Francia (“Treno, valigia con la corda, albergo a ore a Montparnasse, ristorante Chez Olga vicino al Vel d’Hiv, allenamenti a Versailles e al Parco dei principi, anch’io mi sentivo regale”).
A Pizzali è rimasto qualche rimpianto (“Ma ormai, amen”) e un solo desiderio (“Quella foto con Coppi”). Chissà: il suo accorato appello internazionale potrebbe essere raccolto, la sua preghiera esaudita. Una magia per “il Mago”.
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