L'ORA DEL PASTO. RICKY A PEDALI

STORIA | 30/05/2018 | 08:09
La foto: a sinistra, la maglia rosa, di lana, con le tasche anche davanti, lui è Jacques Anquetil, ma c’è chi lo chiama “Maitre Jacques” o “Monsieur Chrono”, bello e impossibile, normanno, la mano sinistra a tenere e trattenere la bicicletta, che in Italia non si sa mai; a destra, gli occhi chiusi forse per l’emozione, o per l’imbarazzo, o per la felicità, o più semplicemente perché è andata così, chissà, lui è Riccardo Sanna, ma tutti gli italiani che cantano “Sei rimasta sola” o “Pugni chiusi” lo conoscono come Ricky Gianco, lodigiano, una camicia che – a rivederla adesso – è un pugno nello stomaco. Giro d’Italia 1964.

Ricky Gianco era lo scorso finesettimana all’Eroica di Montalcino, a cantare e suonare, a raccontare e ricordare, anche a commentare la tappa con Gibì Baronchelli in piazza davanti a uno schermo. Lui e lo sport (praticato): “Ginnastica, karate, un po’ anche ciclismo, ma a livello zero. Poi una bici – spiace dirlo proprio davanti a Baronchelli – firmata Moser”. Lui e lo sport (visto): “Bisogna vederlo da vicino, meglio se da dentro. Il pugilato, per esempio: finché non sei a bordo ring, e non senti il rumore che fanno i pugni, non puoi dire di averlo visto”. Lui e il Giro: “Quel Giro fu un privilegio poterlo seguire sull’ammiraglia della Springoil, squadra diretta da Bartolozzi e composta da un astro nascente, Bitossi, quattro vittorie di tappa e uno stop per il cuore matto, e da una stella calante, Nencini. Rimasi impressionato da due cose: da quello che i corridori mangiavano a colazione - riso, bistecca e pomodori senza i semini – e da quello che pativano in salita – c’era chi piangeva per la sofferenza o il dolore -. Dalle ammiraglie scattavano incitamenti commoventi”. Lui e il calcio: “Interista, una fede che non concede la noia o la monotonia”. Lui e la vita: “Mai lavorato, sempre divertito”.

Cantante, chitarrista, compositore, a Ricky Gianco sono legati pezzi che potrebbero anche essere ciclistici: la Parigi-Roubaix con “Pietre”, gli eterni secondi con “A mani vuote”, le acrobazie della pista con “Tandem”, perfino Fabio Aru con “Tu vedrai”.

Fra i suoi compagni di squadra Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, Demetrio Stratos e Gianfranco Manfredi, fra le sue squadre il Clan di Adriano Celentano.

Storia numero 1: “Composi ‘Pietre’ con Gian Pieretti. Quando la casa discografica ci propose di andare al Festival di Sanremo, Gian Pieretti accettò, io no, spiegai che quel pezzo era una puttanata. Al mio posto si scelse Antoine, un ingegnere francese, capelli lunghi, modi ribelli. Al Festival ci andai comunque, dietro le quinte. Prima che salisse sul palco, mi venne un dubbio e chiesi ad Antoine se si ricordasse tutte le parole. Mi rispose di stare tranquillo, ché se l’era scritte su un foglietto. Speriamo bene, commentai. Sul palco Antoine perse il foglietto, così andò avanti a cantare finché si ricordava le parole, e quando non se le ricordava più, abbandonò il microfono e si mise a ballare e a fingere di cantare – tanto non si sentiva – tra il pubblico, gli orchestrali, le coriste. In un Festival ingessato, quel colpo di scena si rivelò geniale”.

Storia numero 2: “Di notte ascoltavo Radio Luxembourg, e lì scoprii un pezzo, ‘Stand By Me’, di Ben E. King e poi cantato anche da John Lennon. Non capivo una parola, ma la musica era bellissima. Al Clan dissi che dovevamo farla, tradurla, cantarla, che ci avrei pensato io, che l’avrei fatta io, Celentano mi rassicurò, ma dopo due mesi il disco non era ancora uscito, non capivo, finché un giorno arrivò annunciando che aveva avuto una grande idea, quale?, chiesi io, ho deciso che la incido io, rispose lui, e lì finalmente capii, e io?, ribattei, quella canzone sarà un tale successo che tu inciderai il seguito, mi garantì lui. Così ‘Stand By Me’ divenne ‘Pregherò’, e il seguito ‘Tu vedrai’. Io però non ho visto com’è andato ‘Tu vedrai’, a cominciare dai diritti, mai pagati, mai visti”.

Storia numero 3: “A Celentano, l’unico di noi ad avere la grana, dicevamo che bisognava andare a Londra, perché là nella musica stavano succedendo cose grandiose, dai Beatles ai Rolling Stones, e poi il British Blues. E lui niente, ogni pomeriggio andava in un bar e giocava a biliardo con dei professionisti che all’inizio lo lasciavano sfogare e poi all’ultimo colpo lo battevano e si prendevano i soldi – i soldi del nostro viaggio a Londra - messi in premio”.

Marco Pastonesi
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