GIROTONDO. BRUNERO, GRANDE E SFORTUNATO

GIRO D'ITALIA | 26/05/2018 | 07:13
Era nato nel comune di San Maurizio, frazione Ceretta. Per comprarsi la prima bicicletta andava a lavorare come garzone in una ditta che faceva manici di ombrelli e canne da passeggio. A diciassette anni cominciò a correre con l’Unione Sportiva Ciriacese. Quando scoppiò la guerra lo mandarono in prima linea.

Giovanni Brunero aveva appena compiuto vent’anni quando venne arruolato e finì al fronte, nel 5° reggimento Bersaglieri Ciclisti. Suo fratello Ettore, che aveva tre anni meno di lui, decise di arruolarsi pochi mesi più tardi, un anno prima della chiamata di leva, e anche lui finì al fronte. Giovanni intanto era diventato sergente, e non aveva idea che suo fratello si fosse arruolato. Un giorno di marzo del '17, casualmente, i due Brunero si ritrovarono a marciare in direzioni opposte.

Giovanni ottenne il congedo pochi mesi prima di Ettore. Tornò a casa in treno, e lungo il tragitto si trovò davanti un corteo funebre. In questo modo crudele venne a sapere della morte di suo padre Guido. Quanto a sua madre, Gabriella, scomparve in circostanze misteriose, e non se ne seppe più niente.

Alla fine della guerra i due fratelli aprirono un negozio di biciclette e Giovanni ricominciò a correre. Passato professionista, la prima corsa che vinse fu il Giro dell’Emilia del 1920: dopo una fuga solitaria di 90 chilometri (avete presente Froome sul Colle delle Finestre? beh, più lunga), diede otto minuti a Girardengo. Sempre Girandengo, e Belloni, superò nel Giro d’Italia del ‘21 e del ‘22, nonostante una penalizzazione di 25 minuti per abusiva sostituzione di una ruota danneggiata. Riuscì a vincere il suo terzo Giro quattro anni più tardi, anche grazie a una rovinosa caduta di Binda nella prima tappa. Grande scalatore, ottimo passista, per vincere doveva arrivare da solo perché non aveva spunto veloce. Nella solitudine si esaltava, e andando da solo incontro alle salite vedeva svanire tutti i suoi fantasmi. Fu un grande campione, ma non un uomo fortunato. Aveva 39 anni quando morì finito dalla tubercolosi.

Carlo Delfino, che con i suoi libri ha tolto dall’oblio la storia di Giovanni Brunero, scrive che può essere considerato il primo corridore tatticamente moderno, perché sapeva adattarsi agli sviluppi della corsa, alla disciplina di squadra. Non era un personaggio, era uno che quando vinceva chiedeva scusa. E se vi viene in mente Bugno, beh, non siete gli unici.

Oggi, al chilometro 58 della penultima tappa, la corsa rosa numero 101 attraversa Ciriè e ricorda quel corridore taciturno che in un’epoca di campionissimi vinse tre volte il Giro d’Italia (fu il primo della storia a riuscirci), andò altre tre volte sul podio, e arrivò primo a una Milano-Sanremo e a due Giri di Lombardia.

Alessandra Giardini
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