PROFESSIONISTI | 25/02/2018 | 07:20 Per il Piccolo Principe“l’essenziale è invisibile agli occhi”, ma anche per Damiano Cunego, 36 anni di cui gran parte spesi in sella ad una bicicletta, l’essenziale è invisibile. «Certo, non poter correre il Giro non è chiaramente la fine del mondo, ma sarebbe stata per me la degna conclusione di una carriera. Dove tutto ebbe inizio», dice il veronese, 17 anni di professionismo sulle spalle. Uno dei più talentuosi corridori dell’ultima generazione, che nel 2004 fece innamorare l’Italia del pedale, guadagnandosi il “nickname” del personaggio nato dalla fantasia di Antoine De Saint-Exupery.
Quarantanove vittorie, tra le quali proprio un Giro d’Italia nel 2004, tre Giri del Trentino, tre Lombardia, un’Amstel Gold Race, oltre ad un argento ai mondiali di Varese nel 2008 alle spalle di Alessandro Ballan. «Mi sarebbe piaciuto chiudere la mia parentesi agonistica al Giro d’Italia (partirà da Gerusalemme il prossimo 4 maggio, ndr), dove tutto ha avuto inizio, ma non mi è stata data la possibilità. Io da quattro stagioni corro per una piccola formazione di seconda divisione e quindi, come tutti gli appassionati sanno, avevamo bisogno di avere dagli organizzatori l’invito, la necessaria wildcard per essere al via di Gerusalemme».
E adesso? «Prima ho preso in considerazione il piano B che prevedeva la chiusura al Giro del Giappone, in casa del nostro sponsor (la Nippo, colosso mondiale delle costruzioni, ndr). Poi è arrivato l'invito per il Giro di Svizzera che si corre a giugno e da l' l'idea di tirare dritto fino al campionato italiano».
In ogni caso a giugno scendi di bicicletta. «È arrivato il momento di dire basta e di voltare pagina. Io sono felice così. Sono soddisfatto di quello che sono riuscito ad ottenere. So che c’è chi mi rimprovera di aver ottenuto molto meno di quello che avrei potuto ottenere, ma se avessi vinto l’iride di Varese cosa mi direbbero? La stessa cosa, perché chi mi critica, lo fa a prescindere».
Perché hai deciso di dire basta? «Ho 36 anni, e non sono più un ragazzino. Il ciclismo si corre ad un livello sempre più alto e io non mi sento più adeguato».
La vittoria più bella? «Quella di Falzes al Giro d’Italia e poi il mio terzo Lombardia».
L’ultima vittoria l’hai ottenuta il 21 luglio dello scorso anno (Damiano non vinceva dal 2013, ndr) al Tour of Qinghai Lake, in Cina, a 4.200 metri dal livello del mare. «Anche questo è un mio piccolo record: non sono poi in tanti a poter dire di aver vinto in carriera a quelle latitudini».
Cosa farai da grande? «Sarò una guida per i giovani, un testimonial per il mio team e non solo. Voglio concludere i miei studi di Scienze Motorie, anche perché la mia vera ambizione è quella di restare nel mondo delle due ruote come preparatore».
“Tutti i grandi sono stati piccoli”, dice il Piccolo Principe… «Io da piccolo sognavo di diventare un corridore di livello, e ci sono riuscito. Adesso devo rigenerarmi, tornando sui banchi di scuola: c’è ancora tanto da imparare per tornare ad essere grande».
Il tecnico al quale devi di più. «Beppe Martinelli (lo stesso tecnico di Pantani, Garzelli, Simoni, Nibali e Aru, ndr): con lui ho imparato tanto e quindi devo solo ringraziarlo».
Se fossi rimasto con lui, la tua carriera sarebbe stata diversa? «Con i se e i ma non si va da nessuna parte, dico solo che assieme ci siamo tolti delle belle soddisfazioni, ma sulla mia strada ho incontrato ottimi tecnici e, soprattutto, grandi uomini».
I corridori che più apprezzi? «Peter Sagan è il vero fenomeno di oggi. Ma anche Vincenzo Nibali ha un talento immenso».
Tra i colleghi di ieri? «Mi è sempre piaciuto un sacco Jan Ullrich, anche se nel cuore mi è rimasto in corridore pazzesco: Marco Pantani. Ricordo ancora quando nel 2002, prima di una Liegi, mi ritrovai da solo con Marco in ascensore. Lui mi chiese come andava, come mi trovavo nel mondo del professionismo, e io non mi capacitavo, non stavo più nella pelle: un misto di eccitazione e imbarazzo. Indimenticabile».
A quali colleghi oggi sei rimasto più legato? «Gibo Simoni e Ivan Basso. Grande rapporto anche con Leonardo Bertagnolli, Eddy Mazzoleni e Paolo Tiralongo».
Il momento più difficile della tua carriera? «Giro 2009, quello del Centenario vinto da Denis Menchov: respiravo male, e ho faticato come una bestia».
Tanti i tuoi secondi posti: quali ti pesano di più? «Il Mondiale di Varese, dove la mia carriera agonistica poteva avere una svolta. Il secondo posto ai tricolori di Imola alle spalle di Pippo Pozzato e il secondo alle spalle di Andy Schleck all’Alpe d’Huez al Tour de France. In verità mi pesa anche il terzo posto alla Liegi nel 2006, dietro a Valverde e Bettini. E anche i due terzi alla Freccia Vallone, tutte corse che mi piacevano un sacco».
Per il ciclismo sei il Piccolo Principe: una frase che porti con te. «“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle”. In questo periodo ho sopportato un po’ di bruchi, sperando di potermi gustare a maggio la farfalla rosa: non mi è stata data la possibilità».
Di bruchi il ciclismo ne ha avuti parecchi: prima Armstrong, adesso Froome. «Il nostro sport è cambiato tanto in questi ultimi anni. È molto più credibile e affidabile. Il texano aveva conquistato tutti con una storia che pareva una fiaba, ma sappiamo il triste epilogo. Di Froome spero che il finale sia diverso, più dolce. Per lui e per tutti quelli che hanno a cuore questo magnifico sport».
Dice il Piccolo Principe: "gli adulti non capiscono mai niente da soli". «È così. Io ho due figli, Ludovica e Christian, di 12 e 7 anni. Li guido, li seguo, li consiglio, ma ogni giorno sono io ad imparare qualcosa da loro. Insieme a mia moglie Margherita».
I tuoi ragazzi praticano sport? «Certo che sì. Entrambi giocano a tennis, e a noi va benissimo. Ludovica suona anche molto bene il piano, mentre Cristian ha suonato per un anno la batteria, adesso anche lui è passato alle tastiere: questi erano i patti. Con la batteria non si poteva andare avanti».
E tu, niente musica? «Mi piace un sacco, lo sapete, e nei miei piani c’è anche quello di imparare a suonare la chitarra. Oltre ai Doors, sono un fan di David Gilmore, il chitarrista dei Pink Floyd».
Ai tuoi figli cosa piace? «Rovazzi, Fedez e J-Ax».
E tu, di italiano ascolti niente? «Ascolto molto Guccini, i Nomadi e Jovanotti».
Puoi fare coppia con Filippo Zaccanti, “il cantautore” della Nippo… «Lui suona tutti i cantautori, da Bob Dylan a Guccini, da De André, Rino Gaetano e De Gregori: è molto bravo».
Ti piacciono i film? «Moltissimo, soprattutto quelli di Checco Zalone».
Margherita tra poco sarà dottore in medicina. «È brava, le mancano ormai pochi esami. Sta frequentando a Ferrara, e io sono felice per lei».
Tu vivi a Verona con Margherita e i tuoi ragazzi, ai piedi delle Torricelle, dove ragazzino ti sei laureato campione del mondo juniores: che Cunego era quello lì? «Con quella vittoria ho compreso che sarei diventato un corridore, ma anch’io avevo paura di non riuscire. Poi però bastava che mi mettessero il numero sulla schiena e mi passavano tutte le paure».
Alcuni dicono che qualche paura ti abbia bloccato anche in questi ultimi anni di professionismo… «Chi lo dice, sbaglia».
Il massaggiatore per eccellenza. «Ne ho avuti alcuni, e devo dire tutti bravi, come Luigino Corna e Marco Bertini, ma Umberto Inselvini mi è rimasto nel cuore».
Il meccanico. «Non ho dubbi: Enrico Pengo».
La volpe suggerisce al Piccolo Principe che “le parole sono una fonte di malintesi”. Gli dice: “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dir nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino...” «La domanda è: servono davvero le parole per comunicare? Oppure molte volte le parole rischiano di rovinare tutto? La volpe suggerisce al Piccolo Principe di avvicinarsi a lei piano piano. Io sono per parlare poco».
Da luglio avrai più tempo. Per dirla con il Piccolo Principe “più tempo per la tua rosa”. «Avrei voluto la rosa, per una volta ancora, ma sappiamo come è andata a finire: è scaduto il tempo. Ne il Piccolo Principe si dice però che “è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”. Io mi sono dedicato alla mia passione, al Giro che ho profondamente amato, ma ora è arrivato il momento di dedicare il tempo a chi mi ama: alla mia famiglia, a mia moglie, ai miei bimbi, ai miei genitori. È grazie al tempo che dedichiamo a chi ci sta vicino che le persone possono comprendere quanto siano realmente importanti per noi. E il tempo è così prezioso…».
Preziosi sono anche gli insegnamenti della strada: cosa ti ha insegnato il ciclismo? «A percorrere strade, a pormi delle mete: non tanto per il traguardo da raggiungere, ma per il viaggio che siamo chiamati ad affrontare. E che affronterò».
Cunego corridore Pulito, mentre gli altri di meno. Ha continuato ad esserlo: e per questo non ha più vinto
geo
25 febbraio 2018 13:11tempesta
Forse, hai Ragione solo come ha fatto a vincere un Giro poi non fare mai piu classifica in corse a tappe. Sono 60 anni che seguo il ciclismo e non mi ricordo di una carriera cosi. Io parlo solo delle corse a tappe.Tolto questo e stato un bel Corridore.
Geo
25 febbraio 2018 14:19blardone
Scusa !!! Allora quando ha vinto era sporco? Non ho capito ? Se potrebbe spiegarsi meglio? Grazie Blardone Andrea
Tempesta
27 febbraio 2018 16:49SoCarlo
Il giro lo vinse da terzo incomodo: approfitto’ in maniera esemplare di tattiche di gara altrui.
Dispiace vederlo andare via, ma è senz’a meglio così, che vederlo diventare un fenomeno a ridosso dei 40 come il già dePuertista Valverde (in Murcia i ciclisti sono come il vino: migliorano con gli anni).
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