STORIA | 31/08/2017 | 07:28 C’era una Vuelta la prima parola di un bambino andaluso. Che non disse mamma, come facciamo più o meno tutti. No, lui disse piz. Pablo era nato a Malaga una calda sera di ottobre, in una bella casa di plaza de la Merced. Suo padre, José Ruiz Blasco, insegnava alla scuola delle arti e dei mestieri e faceva il conservatore al museo. Per passione invece faceva il decoratore, e aveva una predilezione per le sale da pranzo. Le abbelliva con fiori, foglie, pappagalli, colombi. Era un po’ fissato con i colombi: li allevava e li teneva in casa, così li poteva ritrarre mentre svolazzavano in giro. Il piccolo Pablo venne su così: il suo gioco era incantarsi davanti a suo padre che dipingeva. Così quando disse la sua prima parola l’unico a capire fu suo padre: piz voleva dire lapiz. Infatti José diede a Pablo una matita, e il bimbo cominciò immediatamente a disegnare.
Quando Pablo aveva dieci anni, si trasferirono dall’altra parte della Spagna, a La Coruña. E pochi anni più tardi si spostarono ancora, a Barcellona. Pablo era giovanissimo ma faceva già vita d’artista, e fu allora che decise di prendere il cognome di sua madre Maria. «I miei amici di Barcellona preferivano chiamarmi Picasso perché era più strano di Ruiz, più rotondo. E anche a me piaceva, suonava meglio». E così fu Picasso, per sempre.
Lo stesso Picasso che, vecchissimo, amava ricordare il bambino che disegnava nella sala di pranzo di plaza de la Merced. «A quattro anni dipingevo come Raffaello. Ci ho messo una vita a imparare a farlo come un bambino».
Molto tempo dopo, quando era già uno degli artisti più importanti del Novecento e l’Europa stava bruciando di guerra, Picasso un giorno prese due oggetti qualunque e ne fece poesia, perché questo fanno gli artisti. «Presi il sellino di una bicicletta e il manubrio, li misi uno sopra l'altro e diventò una testa di toro. Più tardi buttai tutto nello scolo della grondaia, lontano da me». Passando di lì per caso, un operaio si avvicinò e raccolse quella specie di testa di toro dal fosso pensando che forse avrebbe potuto ricavarne un sellino e un manubrio. Fortunatamente non lo fece, e la scultura fu colata in bronzo, diventando quella che oggi possiamo ammirare al Musée Picasso di Parigi. Questa storia mi è tornata in mente il giorno che Roberto Damiani, che non insegna soltanto ciclismo, mi ha detto che le biciclette sono come i tori: hanno le corna, e possono portare violenza così come bellezza.
Dodicesima tappa: Motril-Antequera, km 160,1; dopo 20 chilometri la corsa entra nella provincia di Malaga. Se siete alla Vuelta, provate l’ajoblanco: zuppa a base di mandorle, aglio, olio e mollica di pane, servita fredda con uva passa, qualche volta con uve fresche. Se siete da un’altra parte, è il giorno di un classico. Inevitabile. https://www.youtube.com/watch?v=l4_GpIoBgHs
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