Moser-Saronni, rivalità d'altri tempi

| 13/01/2009 | 13:06
Aneddoti, ricordi, tanti episodi ad attestare la rivalità in gara e fuori, davanti al grande pubblico che stipava la sala conferenze del Museo. Il revival sul dualismo che accompagnò Francesco Moser e Beppe Saronni, attorno agli anni ottanta, dividendo gli sportivi in due fazioni condotto da Beppe Conti. “Lavoravo allora per la Gazzetta dello Sport e seguivo il calcio in modo particolare per la mia squadra, il Torino, e la Juventus, ma mi sentivo tagliato fuori per il ciclismo; c’era una penna straordinaria come quella di Bruno Raschi – ha precisato Conti - con altre; non sarei mai riuscito indirizzarmi verso il ciclismo che amavo, avendolo praticato, anche se – precisava – ottenni una decina di vittorie da dilettante. Da questo la decisione di legarmi ad un quotidiano sportivo più piccolo, come Tuttosport, ma in cui potevo parlare di ciclismo. Così ho potuto seguire 32 Giri d’Italia ed altrettanti Mondiali”. Ecco: come è nata questa rivalità? “Correvo già da qualche anno con avversari come G.B. Baronchelli, Battaglin, Gavazzi; Saronni all’esordio venne presentato – precisava Moser - come ottimo pistard. Si mise in grande evidenza, ma si scriveva più di noi due e della nostra rivalità che non delle vittorie degli altri. Nacque così”. “Ricordo bene – la replica di Saronni – tu, caro Beppe, eri marcatamente dalla parte di Francesco. S’iniziava con la Sei Giorni, poi il Laigueglia e si arrivava fino al Lombardia. Si poteva scrivere molto. Le tifoserie erano schierate, si arrivava magari fin sotto la camera d’albergo di Francesco a lanciare dei cori, sempre nei limiti. Oggo non succederebbe più”. Ma è un ciclismo diverso? “C’è una programmazione, un periodo di grande forma con determinati obiettivi in alcune classiche o Giri – affermava Saronni – a San Cristobal quando Francesco vinse il mondiale io stetti agli ordini di Martini e dopo aver fatto la corsa c’era la possibilità di salire sul podio, col terzo posto. C’era anche Bitossi, mi si avvicinò e mi diede uno strappo ai pantaloncini: tu hai già fatto tanto, mettiti da parte che vado io. Arrivò terzo!”. “La rivalità si accresce con episodi e fatti veri, credibili, sono le differenti situazioni poi che l’accrescono - indicava Moser – ed oggi non ci sono più di due-tre atleti disposti e disponibili a cercarsi questa gloria. Per questa ragione ritengo che le gare oggi dovrebbero essere meno lunghe e più impegnative, i favoriti attendono gli ultimi 30 km. Si potrebbe migliorare la qualità di una corsa rendendola più breve, ma più difficile”. Nel ’79 (due anni dopo l’esordio di Saronni nei pro) disputaste vincendolo un Trofeo Baracchi. “Avremmo dovuto allenarci insieme – dice Moser – invece ci trovammo solo sulla rampa di partenza come due sconosciuti al via della gara”. “Lo sforzo che sostenni fu tremendo, aggiunge Saronni, e quando arrivai crollai sedendomi per la fatica”. Cosa faceva più invidia del rivale. “Di Beppe quello scatto breve, rapido che gli permetteva di essere sempre più veloce di me e quindi si superarmi in volata. Il mondiale di Ostuni lo persi perché Maertens era in condizioni di forma notevoli, tanto che vinse ben tredici tappe alla Vuelta quell’anno”. “Francesco aveva un fondo straordinario, capace di partire e di tenere un ritmo elevatissimo per tanti chilometri, così vinse tre Parigi-Roubaix e secondo in altre due, entrando negli annali di questa disciplina non solo per le sue 280 vittorie (199 quelle di Saronni). Se poi vogliamo (la battuta di Saronni) nella vita privata lo stimo e lo apprezzo, ma si sappia: non mi ha mai offerto una bottiglia di buon vino con l’uva dei suoi poderi”. Nel ’56, l’ultima corsa di Fiorenzo Magni, fu proprio il Baracchi con Aldo Moser – altro ospite - che passò primo sul Ghisallo (vincendo l’Agostoni) e poi con 9” su Coppi, al Lombardia ’54, quando Fausto colse il 5° successo nella classica di chiusura. Giulio Mauri
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