| 06/06/2008 | 14:44 Ballerini, cosa ha detto di nuovo il Giro appena concluso?
«Che il cambio generazionale è in stato più che avanzato: a parte Bruseghin, che ha colto un terzo posto che vale come un premio alla carriera, l’età media dei protagonisti è molto bassa».
Cosa l’ha colpita dei giovani?
«La calma di Contador, soprattutto nei momenti di grande difficoltà. E la capacità di Riccardo Riccò di andar forte nell’arco delle tre settimane: si è presentato molto pimpante, è stato bravo a vincere ad Agrigento attaccando nel momento giusto, è stato esplosivo a Tivoli, ma ha tenuto alla grande anche nella terza settimana».
Cos’altro ricordare?
«Mi è piaciuta la Csf Navigare di Reverberi: per come ha corso tatticamente, per come ha fatto sbocciare Sella, che non ha vinto solo anticipando gli altri, ma è riuscito pure a guadagnare quando alle sue spalle si accendeva la bagarre. Mi è piaciuta anche la Lpr: all’inizio non sempre abbiamo colto il senso della sua corsa, ma alla fine ha dimostrato di aver corso per vincere il Giro. Di Luca non era quello dell’anno scorso, ma per ciò che ha fatto nella tappa del monte Pora bisogna soltanto dirgli bravo».
Si volta pagina, si guarda già al Tour: cosa attendersi?
«Mi aspetto un gran bel Tour da Cunego: sono convinto che abbia la serenità, la maturità e una buona squadra per esser protagonista in Francia. Damiano ha acquisito consapevolezza nei suoi mezzi e questo conta parecchio».
Per la Nazionale si avvicina il momento dei grandi appuntamenti: con gli italiani che continuano a far bene, sarà dura mettere insieme le squadre per Olimpiadi e Mondiali…
«Per i Giochi è sempre un problema: non è semplice scegliere cinque nomi per affrontare strada e crono. I criteri restano quelli di Atene: forse qui ci sarà bisogno di uomini che offrano tutti una garanzia di vittoria, ma alla base servirà un’armonia di gruppo. Dicono che in cinque sia dura esser squadra, ma nel 2004 siamo riusciti a correre come se lo fossimo».
Il Mondiale è ancora lontano o già ci si pensa?
«Una cosa alla volta. Il brutto dei Giochi è che bisogna esser pronti un mese prima: il Mondiale ti lascia più tempo per monitorare gli uomini e incasellare le pedine in base alla necessità della squadra».
Che strada seguirà per Varese?
«La stessa di Stoccarda: un gruppo che esprima più di una punta e la capacità di ogni singolo di lavorare per gli altri. Non sarà un Mondiale difficilissimo, ma sicuramente risulterà più impegnativo di quanto non possa esser sembrato ai corridori che ne hanno assaggiato il percorso alla fine di una tappa del Giro».
Si candidano in tanti alla maglia azzurra: buon segno?
«A me fa piacere: se uno si propone un obiettivo significa che lavorerà per inseguirlo e al momento giusto, se servirà, si farà trovare pronto. Mi dispiace quando leggo di corridori che stilano il loro programma dando per assicurato il posto in azzurro: mi piacerebbe sapere chi dia loro queste certezze. Non dovrebbe esser così nei rispettivi club di appartenenza, in Nazionale non lo è mai: in Nazionale non si decide di correre, ma si viene scelti. Conta farsi trovar pronti, vestire l’azzurro implica anche altro, come la disponibilità a ricoprire un ruolo ed essere funzionale ad una strategia che, prima di tutto, resta di squadra».
di Angelo Costa per tuttobiciweb.it
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