L'ORA DEL PASTO. ALESSANDRO TROVATI, IL FOTOGRAFO CHE SCOMPARE E POI...

NEWS | 09/05/2022 | 08:10
di Marco Pastonesi

Giro d’Italia. Ci sono fotografi che documentano la partenza, immortalano l’arrivo, celebrano il podio. Ci sono fotografi che ritraggono un volto, scolpiscono un quadricipite, architettano una caviglia. Ci sono fotografi che inquadrano un tornante, mirano un ponte, scattano un muro. Ci sono fotografi che s’infilano in un campo di girasoli, che si appostano davanti a una scuola elementare, che si arrampicano su una gru. E ci sono fotografi che scompaiono.


Alessandro Trovati è uno di quei fotografi che scompaiono. Lo vedi alla partenza, lo ritrovi in sala-stampa, e dove sia scomparso fra la partenza e l’arrivo lo si scopre da una sola immagine. Ma è l’immagine. L’immagine che documenta, immortala e celebra, che ritrae, scolpisce e architetta, che inquadra, mira e scatta, perché lui si è infilato, appostato e arrampicato dove tutti gli altri non hanno pensato o osato fare. Il suo punto di vista. Che si trasforma in un punto di riferimento. Punto e a capo.


Una selezione delle immagini di Alessandro Trovati, battezzate “Lo sport in bianco e nero”, in una mostra ideata e curata da Federicapaola Capecchi, sono esposte fino al 28 maggio a Reggio Emilia, nell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, viale Allegri 9, ingresso libero. Non solo Giro d’Italia e ciclismo, ma sport, dunque vita, il meglio della vita, arti atletiche e fatiche poetiche, emozioni muscolari e magie fisiche. Immagini che parlano, raccontano, narrano, che spingono a riflettere, sognare, approfondire, che rimangono come testimonianze e interpretazioni, opere di sintesi, flash di memoria, pezzi di storia e schegge di geografia.

Trovati, figlio di un fotografo, ha respirato passione e professione fin da bambino. La prima macchina (“Una Minolta”), i primi servizi (“Dalle partite di calcio degli amici ai battesimi e alle comunioni”), poi i grandi viaggi (“Giri d’Italia, Tour de France, ma anche tanto sci e adesso anche tanto nuoto, e dodici Olimpiadi”), fino al momento in cui ha sentito l’urgenza di spiegare e ospitare (“SPM, Sport Photography Museum, a Milano, un luogo unico in Italia, proposto da Capecchi e fondato da me”). A Reggio Emilia, fra le sue opere in bianco e nero, ce n’è una a colori: Marco Pantani, in maglia rosa, sulla salita di Pampeago, un’immagine diventata l’immagine di quell’agonia che il Pirata cercava, andando forte in salita, di abbreviare.

“Ci vuole occhio – dice Trovati – ma anche cuore e gambe, sensibilità ed esperienza, saper cogliere un attimo fuggente per renderlo, se possibile, eterno. A volte succede, a volte no. A volte scopri nella foto scattata addirittura qualcosa in più di quello che vedevi o chiedevi. A volte, nonostante la tecnologia, ti senti ancora come uno di quei pionieri che avevano un solo colpo in canna. E sempre pensi che la foto più sorprendente o più commovente o più importante sia ancora da scattare”. Click.

 

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