CASO UNICO

TUTTOBICI | 27/12/2019 | 08:00
di Pier Augusto Stagi

Sentenza unica oltre che storica. Unica perché non sarà facile che si ripeta, storica perché la decisione del Tribunale Nazionale Antidoping non so se potrà fare giurisprudenza, ma ha il merito di aver anteposto ai codici e ai nanogrammi il buon senso, comportandosi da buon padre, dopo aver ascoltato una madre.


La vicenda è quella che ha visto come protagonista M.C. - ha solo 15 anni - risultato positivo ad uno steroide anabolizzante al termine di una corsa. La sua assoluzione, decretata dal Tribunale Nazionale Antidoping, ha fatto quasi gridare allo scandalo, perché per la prima volta un ciclista risultato positivo e che in sede processuale aveva ammesso l’utilizzo della sostanza in questione, è stato assolto per inconsapevolezza.


Il merito di questa sentenza è chiaramente dell’avvocato Celestino Salami e dei suoi periti che hanno redatto la memoria difensiva, ma anche e soprattutto del TNA che ha messo sul tavolo, oltre al codice, anche il cuore, provando a capire, a ragionare, visto che di fronte non aveva un atleta fatto e finito, con alle spalle decine e decine di controlli antidoping, ma un ragazzo al primo controllo in carriera.

I fatti sono stati ricostruiti un po’ da tutti i quotidiani e dai siti che hanno ripreso la notizia. Un anno fa la mamma di M.C. dopo essersi ustionata con il ferro da stiro, aveva fatto ricorso al Trofodermin, unica pomata che contiene il Clostebol: la sostanza incriminata e rilevata nelle urine del figlio.

È bene ricordare che sulla scatola del prodotto incriminato appare chiaramente il bollino rosso, ma avendo gettato la confezione, al momento di farne nuovamente uso per il ragazzo vittima di una brutta caduta, la mamma non se n’è ricordata. Molti hanno gridato alla negligenza. Negligenza di un ragazzino di 15 anni al suo primo controllo? Io grido alla grandezza di un tribunale che per una volta fa lo sforzo di capire e di immedesimarsi e non chiude gli occhi, ma li apre. La Procura si appellerà? È molto probabile. Ma i meriti del TNA sono evidenti quanti inappellabili. Farà giurisprudenza? Certo che sì, ma a queste condizioni: un ragazzino di 15 anni, al suo primo controllo della vita, che dopo una caduta si affida alle cure amorevoli di una mamma. Un caso unico.

LA DICE LUNGA. Ha già visionato le tappe dello Stelvio e di Madonna di Campiglio e ha in serbo di provarne altre, per arrivare sulle nostre strade più preparato che mai. Romain Bardet fa quello che dovrebbero fare molti suoi colleghi: prendere coscienza. Capire quali sono i propri limiti e, di conseguenza, rivedere e adeguare le proprie ambizioni. Ha sempre puntato al Tour, Romain. Era e per certi versi resta la grande speranza francese per i Grandi Giri, ma è anche vero che non si può continuare ad investire solo e soltanto su un Grande Giro all’anno per poi rischiare di rimanere sempre senza fiches in mano.

Ora la scommessa si chiama Giro d’Italia. Bardet riparte da se stesso e dalla nostra corsa, che non è chiaramente il Tour e probabilmente non lo sarà mai, ma è pur sempre un Grande Giro che può essere corso da protagonista, lui che lo è stato almeno in un paio di edizioni anche sulle strade di Francia.

Punta al Giro d’Italia e poi alla Vuelta, mettendo nel mirino pure a Olimpiade e Mondiale (farà anche Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Tour of the Alps). Era tempo di provare qualche cosa di diverso, ha detto il galletto dell’Ag2r. Era ora di uscire da una comfort zone per provare l’esperienza al Giro: dovrebbero farlo tanti altri corridori, che si accontentano ogni anno di inseguire un “esimo” in Francia, anziché provare almeno a salire sul podio della nostra corsa regina. C’è chi ribatte che tutto questo la dice lunga sulla considerazione che il mondo del ciclismo ha sulla “corsa rosa”, sempre più distante dalle ambizioni di team e dei corridori di rango. Per quanto mi riguarda, mi fa riflettere sulle scelte scellerate di certi team manager e corridori.

PROVIAMO A CAMBIARE. La storia la conoscete perché tuttobiciweb ve l’ha narrata in tempo reale. È la storia di Andrea, ragazzino autistico di 16 anni che per le vigenti regole non può correre con gli altri, ma deve scattare dal via con qualche secondo di anticipo, in questo caso 30. La cosa bella è che nella gara di Serravalle Sesia, nel Vercellese, i dieci giovani ciclisti che avrebbero dovuto competere con Andrea, si sono ribellati al volere del collegio di giuria (sia ben chiaro, i giudici hanno applicato i regolamenti, ma questi possono anche essere rivisti, corretti, cambiati…): se non può correre con noi, allora ci ritiriamo tutti. Una scena degna de L’attimo fuggente e del professor John Keating che, cacciato dalla scuola, vede i suoi ragazzi ribellarsi, rendendogli omaggio. Vi ricordate? Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco per gridare: «Capitano, mio capitano!». Una scena potente e universale, che ci dice che ognuno di noi ha assolutamente bisogno di buoni maestri. E anche la storia di Andrea qualcosa ci insegna, per provare a cambiare.

da tuttoBICI di dicembre

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