Forlì. Qui, al Giro d’Italia, fra gli Under 23 c’è un Over 82. Che è più giovane di loro. Non sulla carta d’identità, ma nell’anima, nello spirito, nel cuore. Pino Roncucci: il maestro. Un amore irresistibile per la bicicletta, un richiamo inestinguibile per il ciclismo, una tentazione inguaribile per le corse. Quarantacinque anni da direttore sportivo. E novecentottanta vittorie in carriera.
Pino, c’è un inizio? “La mia prima bici da corsa, una Bianchi, nel 1947. Partecipavo alle corse degli enti, l’Uvi, l’Enal… Un gruppo di amici, una squadra di amatori, un giro di sagre. Poi caddi, incrinai due vertebre, rimasi fermo, smisi di correre, frequentai un corso da direttore sportivo. Il tecnico era Leandro Coco, della Romagna Nuova di Ravenna, che poi lanciò il ciclismo in Colombia e Venezuela. La mia prima squadra nel 1969, la Glauco Servadei a Forlì, fondata da reduci della Forti e Liberi. E Marino Amadori c’era già: non vinceva mai, però era sempre con i primi”.
Pino, c’è un poi? “Generazioni di ragazzini. Costellazioni di sogni. Enciclopedie di corse. Ragazzini, sogni, corse: ogni sabato, ogni domenica. E Giuseppe Solfrini, che batteva Moreno Argentin, anche nella premondiale di San Geminiano, smise vincendo, perché scelse di dedicarsi agli studi, andò all’università, si laureò dottore in Scienze aziendali e tributarista. E Davide Cassani, che già allora chiamavamo ‘l’intellettuale’, perché si incuriosiva, si interessava, studiava, capiva, imparava, e adesso che è il supervisore delle squadre nazionali, ma anche il presidente dell’Apt, l’Azienda di promozione turistica dell’Emilia-Romagna, dovrebbero fargli un monumento per tutto quello che fa, non più soltanto per le bici e il ciclismo. E Maurizio Semprini, un fenomeno, un Cipollini però capace di vincere dovunque, strada e pista, peccato che non avesse la testa per fare il corridore”.
Pino, c’è un dunque? “Marco Pantani. Andavo a vederlo, da lontano, già quando era allievo e junior, finché venne da me, alla Giacobazzi, perché voleva vincere il Giro d’Italia dei dilettanti. Un giorno c’era con noi Walter Malavolta, massaggiatore della nazionale, bolognese, una grande sensibilità manuale. ‘Questo qui – mi giurò – è più forte di Coppi’. E neppure ebbe bisogno di aggiungere, come faceva di solito, la sua esclamazione ‘boia di una cavalla zoppa’. Un giorno, al Giro del Friuli, che precedeva il Giro d’Italia, Pantani aveva lo stesso tempo di Gilberto Simoni, primo in classifica, ma Simoni aveva più punti di Pantani. Dovevamo inventarci qualcosa, una fuga, magari da lontano, con due o tre dei nostri, e, dentro, anche Pantani. E andò proprio così. Solo che poi Pantani li staccò tutti. ‘Marco, dove vuoi andare?’, gli chiesi. ‘All’arrivo’, mi rispose. ‘Ma mancano ancora 100 km”, gli spiegai. ‘Vorrà dire che provo la gamba per il Giro d’Italia’. Lo presero a 5 km dal traguardo. E Simoni avrebbe confessato: ‘Quel giorno Pantani ci fece diventare tutti matti’. Pantani: 1,71 per 54 kg quando era in forma, 400 watt alla soglia, sa che cosa vuole dire?”.
Pino, c’è un adesso? “Forlì è una città che va in bicicletta, ma non ha più corridori. Il cicloturismo ha indebolito il ciclismo”. “Poi il traffico, la mancanza di sicurezza, gli altri sport. Tra la Scat e la Forti e Liberi facciamo i salti mortali”. “Un anno fa, come Pantani Corse, abbiamo messo su una squadra: tutti ragazzi neri, africani, o quasi. Nel periodo delle gare, stop: non mangiavano più, non bevevano più, non si allenavano più, non gareggiavano più. Per il Ramadan”. “Il ciclismo, anche, anzi, soprattutto quello dei professionisti, è telecomandato, computerizzato, troppo organizzato. Invece ha bisogno di fantasia. Come Nibali alla Sanremo. Come Pantani che dopo qualche test rifiutava qualsiasi strumento e mi spiegava: ‘Pino, ho l’orecchio’. Era il suo modo per dire che sapeva sentirsi, ascoltarsi, controllarsi. Da solo. Dentro”, “Il mio archivio, c’è di tutto, fotografie e documenti, articoli e test. Quando vuole, faccia un salto da me”.
Pino, c’è un insomma? “Questa bici, che è una biciclettaccia, da donna. Ne ho anche un’altra, più bella, da uomo. Ma per girare a Forlì mi basta questa”.
Marco Pastonesi