Là, dove non si cerca il doping
di Gian Paolo Ormezzano
Mi scuso della prima persona con il solito pretesto: che in questo caso è davvero singolare. Dunque di recente mi è accaduto di proporre (a modo mio, cioè scrivendo e mandando il pezzo) ad un giornale assai importante un articolo che ritenevo insieme divertente, opportuno, onesto, sfrucugliante. La pubblicazione non è avvenuta per ragioni di… ordine pubblico, di buon gusto, di non aderenza stretta alla realtà, che posso capire pur non sottoscrivendole.
Dunque: ero al festival di Sanremo ed avevo pensato bene (cioè male) di scrivere un pezzo che cominciava con la notizia davvero sensazionale, uno scoop, dell’irruzione di poliziotti, carabinieri e finanzieri dentro lo stesso festival: e cioè perquisizioni nei camerini degli artisti, nei camper, ovviamente nelle stanze d’albergo. Per cercare cosa? Prodotti considerabili come droga, o come doping.
E avanti: reperimento di molti prodotti vietati, sequestro, convocazione in una caserma di Imperia attrezzata ad hoc di artisti, manager, produttori, fauna varia del festival, e nei riguardi di quelli non subito reperibili retata nella notte, presso i ristoranti e le discoteche del dopofestival.
E ancora: primi interrogatori e presentazione, da parte di quasi tutti gli interrogati, di certificati medici che prescrivevano, per la cura generica o specifica di malanni assortiti, proprio l’assunzione di quei prodotti. Operazione comunque in pieno svolgimento, altri particolari sul giornale di domani.
Poi avevo messo un post scriptum in cui dicevo che era fantascienza, ma che questa sarebbe stata la realtà se lo stesso festival si fosse svolto a Mentone, una ventina di minuti d’auto, in quella Francia dove una legge di stato ha permesso alla polizia di spupazzare e forse stuprare il Tour de France, patrimonio nazionale, figuriamoci un festival della canzonetta.
Ammetto che il pezzo era troppo provocatorio, e un po’ terroristico. Però io lo avevo scritto a ciclismo ancora caldo dell’irruzione della legge, intesa come magistrato e carabinieri, nella corsa di Laigueglia.
Però quando ho detto del pezzo a certi colleghi, riassumendolo, e ovviamente senza rivelare subito che avevo inventato, immaginato la cosa, li ho visti sbarrare gli occhi non tanto per la sorpresa, quanto per rabbia di avere mancato loro lo scoop. Il pezzo insomma era credibile, e ci hanno creduto, sino alla mia confessione.
Metto anche questa esperienza nel calderone delle mie sensazioni e dei miei ragionamenti sulla questione immane del doping. Mi torna in mente che la polizia francese, così severa con il Tour, soltanto pochi giorni prima non aveva eseguito, con un mese di partite a disposizione, un intervento che è uno sulla Coppa del Mondo di calcio, organizzata nella stessa Francia del Tour, e ricca di casi strani anche senza aspettare quello stranissimo di Ronaldo misteriosamente a pezzi nella finalissima. Caso strano, su tutti, l’assenza di qualsiasi positività nei controlli antidoping effettuati presso il laboratorio di Parigi intransigente e preciso in tante altre occasioni. E per contare quelli di noi che si sono stupiti di tanta onestà ufficiale bastano le dita di una mano, e anche un po’ mutilata. Adesso dobbiamo prepararci ad altri assalti al ciclismo, ad altri riguardi - escluso Guariniello - per il calcio, mentre di mondo cosiddetto artistico non si parla neppure. La legge di stato da noi aspetta ratificazioni e, soprattutto regolamenti di esecuzione. Penso, temo che potrò riproporre il prossimo anno lo scoop da micro Orson Welles, quello che alla radio annunciò l’invasione dei marziani, terrorizzando gli Stati Uniti. E mi preparo intanto a godermi (beh) il Roland Garros di Parigi, cioè il tennis di tanti atleti dopati e drogati, con esame attento delle assenze ingiustificate da quello che è il vero campionato del mondo su terra battuta. E cerco di pensare cosa accadrà al Tour. E mi chiedo se la famosa unificazione dell’Europa non sia minata anche e magari soprattutto dalla discriminazione fra paesi dettata dall’esistenza o meno, dall’applicazione o meno di leggi di stato in materia di droga e di doping.
Quanto all’esperienza del festival di Sanremo, non mi sento assolutamente limitato come giornalista, e comprendo le incertezze dei colleghi prudenti. D’altronde ho sempre potuto scrivere che non penso al ciclismo come all’unico antro di pratiche chimiche, che non credo alla conclamata pulizia di altri ambienti sportivi, su tutti quello del calcio che sta cercando di eseguire, nei riguardi dei mancati o insufficienti controlli all’Acquacetosa, il più grande e truffaldino gioco di prestigio nella storia del nostro sport.E lo scrivo anche qui, anche adesso.
Non sono in grado di dire con cognizione di causa quale doping, quale droga furoreggia nel mondo della musica leggera, che comunque più volte si è detto visitato dalla chimica, arrivando addirittura a metterla in musica, in versi. Penso che se quell’articolo fosse stato pubblicato molti dell’ambiente, leggendolo avrebbero potuto infartarsi, oppure esaltarsi per lo scampato pericolo. Temo che sarei stato accusato di disfattismo, visto che in qualche modo, sia pure nel mio piccolissimo, avrei scalfito il massimo monolito del divertimento nazionale. Magari sarei stato indicato come bestiolina nera, invece di essere teleadditato in diretta dal mio amico Fabio Fazio come indifferente al fatto che il premio Nobel Dulbecco gioca alle bocce. Sicuramente sarebbe cambiato un altro po’ della mia vita: e siccome mi piace com’è, devo pensare che mi è andata bene.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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