E’con vivo raccapriccio che seguo il progetto del ciclismo di mettere su un proprio set televisivo per riprendere in proprio le proprie corse, e sottolineo la parola “proprie” perché i dirigenti esibiscono questo disegno con sfacciato orgoglio e altrettanto nefasto spirito possessivo. Perché autoprodursi lo spettacolo? Siccome sembra che ormai pensino soltanto a scimmiottare la Formula 1 (già, perchè va così bene...), si vorrebbe farne un business interno, così da aumentare il potere contrattuale nei confronti delle varie reti televisive, magari guadagnandoci qualcosa, ma soprattutto per strappare più spazio e attenzione. Astutissimo, il ragionamento degli strateghi: visto che il ciclismo fa sempre più fatica ad entrare nei palinsesti, se lo forniamo già fatto - con immagini straordinarie e commenti straordinari - anche i canali più tiepidi, che magari negano spazio per mancanza dei soldi necessari a seguire l’evento, persino loro direbbero sì e manderebbero in onda le corse. Stupendo. Diciamolo: hanno scoperto l’uovo di Colombo. Talmente bello, talmente facile, che viene spontanea una domanda: perché non averci pensato prima?
Te lo dico io, perché non ci hanno pensato prima. Punto numero uno: per mettere in piedi la baracca autogestita, bisogna mettersi d’accordo in tanti, esattamente l’unica cosa che nel ciclismo non sono mai stati capaci di fare (l’unico obiettivo comune è, da sempre, tirarsi coltellate nelle scapole, possibilmente a sangue freddo). Punto numero due: anche ammesso che il miracolo dell’accordo avvenga (si sa mai: nei momenti della disperazione diventano tutti un po’ più disponibili), anche ammesso questo, c’è poi la questione di trovare cameramen, giornalisti, strutture tecniche per produrre davvero uno spettacolo super: i dirigenti hanno sempre pensato che il lavoro giornalistico sia una specie di gran turismo eno-gastronomico, ovviamente alla portata del primo cretino che passa per strada, ma tra le loro convinzioni e la realtà di un lavoro molto delicato c’è di mezzo molta distanza, una distanza sicuramente incolmabile con l’improvvisazione di gente abituata soltanto a fare soldi e cacciare potere. Se ne accorgeranno, il giorno che davvero ci proveranno, cosa significhi raccontare un evento: o davvero credono di farlo mettendo la telecamera in mano a quattro tirapiedi di corte?
Ma il punto più importante è il numero tre. E cioè una piccola riflessione che evidentemente i geniali marketing-manager del ciclismo continuano a dimenticare. Questa: se un prodotto è appetibile, fanno la fila fuori per averlo. Se fa schifo, non lo vuole nessuno, nemmeno a tirarglielo in testa. Esco dal generico: se una corsa è bella e importante, cito per puro caso il Tour de France, le televisioni di tutto il mondo fanno a gara per averla. Ma se la corsa è minore, se magari la corsa è stata gloriosa ma purtroppo non lo è più, cito per puro caso la Tirreno-Adriatico, la Rai di turno non la trasmetterà nemmeno se gliela servono a domicilio su un piatto d'oro.
Scandaloso? Certo, per la cultura vetero-statale d’altri tempi, quando le clientele politiche potevano imporre baseball e beach-volley in prima serata su RaiUno, tutto questo è scandaloso. Ma per i tempi d’oggi, dove tutti - in primo luogo quelli che pagano il canone - chiedono alle televisioni di essere aziende sane, non è più uno scandalo: è un puro e semplice rispetto dei giochi di mercato. Ha un bel dire, il nuovo capopopolo iridato Mario Cipollini, che la Rai è una vergogna. Ma lo sa, il buon Cipollini, quanto ascolto faceva l’ultima Tirreno-Adriatico? Io lo so, e non lo dico perché ho troppo rispetto e compassione per il ciclismo. Se vuole, vada a informarsi lui, prima di parlare: solitamente, una buona regola. Anche perché, se non sbaglio, è proprio Cipollini che ogni tre per due ci ricorda come il ciclismo non sia più un recinto di sottosviluppati, ma un ambiente capace di raccogliere le sfide della modernità e le logiche degli affari. Bene, seguano i fatti: se un prodotto non tira più, inutile fare la voce grossa perchè la Rai non lo trasmette. Bisogna darsi da fare perchè torni presto ad interessare almeno un milione e mezzo di telespettatori: a quel punto, posso assicurarlo, non sarà necessario chiedere in ginocchio alla Rai di mandarlo in onda. Sarà lei, la tivù del servizio pubblico, a chiederlo con largo anticipo. E se non sarà la Rai, davvero sarà una rete concorrenziale: perché a quel punto, davanti a un ciclismo appetibile, le reti torneranno a contendersi i diritti. Suona astruso, questo banale ragionamento?
Dicono i Cipollini: se il ciclismo non acchiappa più interesse e sponsor è colpa della televisione che lo trascura. Saremmo, con questo discorso, al punto quattro. Che non merita molte parole. Continuino, i Che Guevara del ciclismo, a coltivare questa bella favola. Continuino, così andiamo sempre più a fondo. Se invece hanno voglia di mettersi davanti a uno specchio, provino soltanto a pesare, così per sport, quanto bene faccia al loro amato sport - senza scomodare gli scandaloni - lo stillicidio di grotteschi episodi nelle camere degli alberghi. Dico i più piccoli, i più comici, i più imbarazzanti. Uno ha la siringa per l’insulina nel cestino. Quell’altro ce l’ha in valigia e dice che gli serve per bucarsi le vesciche dei piedi. Quell’altro ancora - il più recente - tiene in bagno una pratica borraccia di urina: così, perché il suo diesse la sta raccogliendo in vista di esami clinici. Su, chi è che in giro per scuole e uffici non si porta sempre dietro siringhe per insulina e borracce di pipì? Ragazzi, guardiamoci in faccia sul serio. Può pure darsi che si tratti sempre di disgraziatissime coincidenze. Se ci piace crederlo, crediamoci. Ma a forza di disgraziatissime coincidenze stiamo andando spediti verso l’ultimo traguardo. Altro che autoproduzione delle immagini tv: siamo pronti per l’autodistruzione di uno sport leggendario.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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