Caro presidente Verbruggen...
di Gian Paolo Porreca
Caro presidente
Hein Verbruggen,
ci auguriamo che la distanza geografica e l’ostilità fonetica dei nostri idiomi non rappresentino un ostacolo insormontabile a questa istanza. Che Le inoltriamo innanzitutto per amore verso questo sport - che è il Suo, immaginiamo - e per quel desiderio di chiarezza che dovrebbe animare, così come l’appassionato o lo scrittore, in primis proprio chi identifica il vertice istituzionale di un mondo.
Mi riferisco a due episodi recentemente occorsi proprio nell’ambiente ciclistico a Lei più intimo, quello olandese, ma che hanno una esemplare valenza emblematica nel contesto così travagliato del ciclismo di ogni giorno (per non dire sentimentale in chi, come noi, ha sempre guardato con amore - da Karstens a Raas - al binomio ciclismo-Olanda, quale dimensione di vita e libertà).
La prima vicenda è relativa al caso di Erik Dekker, il nazionale olandese della Rabobank fermato alla vigilia dei Mondiali a Verona per ematocrito alto. Come certo Lei sa, ma come molti lettori non solo italiani non sanno, la Rabobank, sponsor di massimo rilievo sociale ed economico nei Paesi Bassi, ha disposto una perizia clinico-farmacologica sull’atleta affidandola tout court ad una commissione medica assolutamente indipendente dall’organico del team guidato da Raas. Con la condizione che, qualora detta commissione avesse rilevato tracce dirette o indirette di doping negli esami di sangue ed urine imposti a Dekker, la Rabobank avrebbe ritirato la sua sponsorizzazione e licenziato tutti, corridori e manager.
Ordunque, come ci ha riferito recentemente il nostro amico e corrispondente Wout Koster, grande scrittore di ciclismo olandese, la commissione dei saggi della Rabobank ha scagionato nella maniera più assoluta Dekker, affermando - nero su bianco -, a fronte di tutti i test di laboratorio praticati, che si è trattato di une aberrance evidente. Ed attribuendo la responsabilità di quell’ematocrito al di sopra del 50% solo ad un prelievo eseguito in modo irregolare: tentativi ripetuti e non riusciti di prelievo, con un laccio emostatico tenuto al braccio per un tempo eccessivo - superiore ai 60” - mentre la procedura ortodossa si prefigge un limite massimo di 45”, proprio per evitare il rischio dell’emoconcentrazione... Alla luce di queste conclusioni, la Rabobank si è dichiarata «soddisfatta» ed ha rinnovato la fiducia totale ed incondizionata nella sua équipe ciclistica.
Creando contemporaneamente, caro Presidente Verbruggen, un profondo sconcerto nel dottor Schattenberg, il medico olandese responsabile della Commissione anti-doping della Sua UCI che ha dichiarato la massima perplessità sulle deduzioni e sull’accusa di vizio procedurale espresse dalla Rabobank.
CaroPresidente Verbruggen, quali «olandesi» hanno ragione? E si rende conto di quale meccanismo detonatore internazionale, per supplementi di indagine ed inchieste - superpartes o meno - è insito in questa baruffa solo apparentemente di casa Sua, che legittima Dekker e delegittima tutto il resto?
Il secondo punto che vorremmo proporre alla sua attenzione è la recente denuncia o autodenuncia alla stampa fatta da Rooks, Winnen e Ducrot, ed in un tempo successivo da Theunisse, relativamente alle abitudini di doping di squadra negli anni ’80, in atto nelle celebri armate fiamminghe di quelle stagioni. Mi consenta di sillabarle, più che citarle, una ad una, dalla Raleigh alla Panasonic, dalla PDM alla Buckler, con l’amarezza di un uomo di sport che può amare solo le maglie, non più chi le indossava!
Bene - anzi male, molto male -, abbiamo davanti ai nostri occhi il diario farmacologico di Theunisse al Tour 1988 che l’amico Koster ci ha sottoposto e ci auguriamo che anche Lei ne sia in possesso: testosterone, celestone, Bentelan, a dosi subentranti. Ci conforta, credeteci, l’assenza dell’eritropoietina, il doping di matrice italiana, in questo protocollo (Noi saremmo arrivati più tardi - con la Gewiss - al comando: ma ci saremmo rimasti di più...). Queste dichiarazioni, in nome di una tardiva vocazione morale che sarebbe consolante solo se fosse sincera, hanno trovato la conferma di Gisbers, che è stato manager della PDM: e le smentite, invece, di Post e di Raas, proprio quel Raas lì che un tempo, giova ricordarlo, si ammantò di onore per avere licenziato su due piedi un suo corridore - Ludo De Keulenar - proprio per averlo sorpreso a frodare l’antidoping.
Caro Verbruggen, la verità è difficile: e più banalmente, in un modo o nell’altro, ci fa solo male. Ma non vogliamo scivolare nelle valutazioni soggettive o nei riferimenti affettivi, come pure sarebbe lecito, in questa rubrica, ma per il ciclismo del tutto sterile. Noi vogliamo solo chiederle ragione di un Suo commento, in merito a questa seconda vicenda: «un corridore è sempre il primo responsabile del suo doping»! Giustissimo così, questo le volevamo sentir dire, caro Presidente, una buona volta! Ma non è sconcertante e contraddittoria, questa sacrosanta presa di posizione, per una UCI che contemporaneamente ha reso pubblico un «suivi médical 2000» in cui colpevole di ogni fatto e/o misfatto clinico e farmacologico - responsabilità oggettiva...- è considerato in fondo solo il Medico sociale?Poveri Medici (onesti) del ciclismo retrocessi a gendarmi (o a reinventarsi neuropsichiatri infantili, per svelare le bugie di troppi ragazzi-bambini viziati a peso d’oro). Ma agli atleti, «ciascuno responsabile del proprio doping», caro Presidente, sarà ancora tutto consentito?In Olanda e altrove.
Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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