Un panettone, un torrone, due bottiglie di spumante e un biglietto firmato: basta questo per manifestare il calore e la cordialità di un augurio natalizio. Non serve altro. Ovviamente parlo dei rapporti di lavoro. Per la fidanzata, per il marito, per la mamma e per i figli non c’è invece limite alla spesa e alla fantasia, perché la cosa più bella è vedere il sorriso contento di chi ci vuol bene.
Un Rolex d’oro (venticinque milioni di roba) ai designatori degli arbitri può entrare a far parte dei regali normali e sinceri? Dagli inizi del Duemila stiamo dibattendo sulla questione. Che teneri, noi italiani: abbiamo costruito un glorioso filone del cinema - la commedia degli anni Sessanta - sulle scorciatoie ruffiane per ottenere «il favore», o comunque la simpatia, di chi conta, con Alberto Sordi sempre già a novanta gradi, la mano protesa in avanti, per stringere viscidamente quella del notabile, «e mi saluti tanto la signora». Più avanti, negli anni Ottanta e Novanta, abbiamo poi appreso per via giudiziaria come aste e appalti finissero a vantaggio di questo o di quello non in base a oggettivi criteri di metodo o a rigorosi requisiti, ma soltanto in base alla capacità di scegliere la pista. Dài, lo sappiamo tutti che questa è storicamente una repubblica da oliare: bisogna solo oliare la ruota giusta.
Tutti sappiamo tutto, eppure il mondo del calcio ha finto stupore e indignazione per i Rolex della Roma agli arbitri (non tutti: ai guardalinee un simpatico Philip Watch). È passato del tempo, ma l’episodio non va lasciato cadere. Perché è un sublime paradigma, una perfetta sintesi, una stupenda rappresentazione su che razza d’uomini e di metodi tengano in piedi l’opulento mondo del football. A frittata servita, quando l’unica cosa possibile sarebbe chiedere scusa, tocca proprio alla Roma innescare la catena del volgare e del grottesco. Ma quale corruzione, spiegano dalla Capitale: lo fanno tutti, l’abbiamo sempre fatto tutti. Gli altri, imbarazzati, si affrettano a prendere le distanze. Magistrale l’Inter: sì, abbiamo regalato apparecchi per l’allenamento, però venivano da una svendita. Signori. Per non essere da meno, la Roma va in ripartenza mandando alla Domenica sportiva il suo impomatato direttore generale che con aria solenne (ma il senso del ridicolo mai?) tiene a precisare quanto segue: i Rolex valgono sì 25 milioni, ma li abbiamo rilevati a prezzo di stock, esattamente un terzo, praticamente una miseria. Signori pure loro. Ma dove li educano questi del calcio, tutti a Oxford?
Andiamo avanti. Ad un certo punto salta su il presidente federale Nizzola, quello che arriva sempre al capezzale del paziente quando già c’è il becchino. Stavolta ha lui una soluzione ferma e decisa: gli orologi vanno restituiti. Non è male, fatta salva la banale considerazione che riguarda gli arbitri: potevano arrivarci da soli. Ma è comunque una soluzione sgangherata, perché a me che sono un po’ scettico viene subito da chiedere cosa fare invece dei regali dal Dopoguerra ad oggi: quelli vanno bene? Prima dello scandalo erano accettabili? Nizzola non si pone il problema, lui è quello che col laboratorio della Acquacetosa sigillato spiegava ancora come il calcio fosse pulito e non avesse nulla da temere. Niente, dei regali precedenti non gli importa. O forse è solo per un gesto di rispetto nei confronti di tante mogli illustri, che da una restituzione globale si vedrebbero la casa mezza vuotata.
Infine gli arbitri, i migliori di tutti. Con quella rigidità goffa da congrega trappista che li contraddistingue sempre, nei gesti e nel linguaggio, spiegano cavillando che loro avevano subito avvertito la Lega, in attesa di sapere come e quando agire per gli orologi. Patetici. Etica e stile a comando. Certo, bisogna avvertire e consultare: perché uno normale non capisce da solo che ricevere un Rolex da 25 milioni è quanto meno imbarazzante. La verità è che per questa gente, così arrogante e pignola in campo, il rigore è solo una questione di fallo in area. Questi sono gli stessi che sfoderano onore e fermezza contro Collina, colpevole di giocare una partitella a scopo benefico senza avvertire i capi. Ma quando scenderanno dal pero? Quand’è che accetteranno di uscire dalla logica demente dei cavilli e dei comma, dei rituali e delle procedure, per diventare normali?
In questo trionfo della volgarità e della piccineria umana, con un sacco di gente che sudava in televisione per urlare banalità del tipo «il calcio deve scoprire l’eticaaaa!», abbiamo speso settimane per stabilire quale sia il regalo «normale». Che tristezza. Nessuno che si sia posto il problema più grosso, e cioè se abbia senso fare regali a giudici imparziali e al di sopra delle parti. Loro stessi, i giudici, non se lo sono posto: nessuno che abbia detto «basta, per tagliare la testa al toro decidiamo che da ora in poi i club non potranno più spedirci manco un dattero». Se ne sono guardati bene. Forse sbaglio, ma dopo aver letto e ascoltato, a me pare di cogliere alla fine questa soluzione, che tra l’altro accontenta tutti: basta coi Rolex d’oro. L’anno prossimo Zenith e Seiko.
P.S.
Tutto questo per dire che conviene tenerci caro il ciclismo.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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