Avrebbe compiuto 81 anni, il 3 di questo mese, Renzo Bardelli, l’uomo politico e l’uomo di ciclismo di Pistoia, scomparso il 2 marzo scorso. Avrebbe visto un’altra primavera di classiche, vissuto un altro Giro, e voluto ispirare certo un’altra edizione del suo Memorial “Giampaolo Bardelli”, creato nel 1985 in onore del fratello scomparso, e riservato in una prima fase al ciclismo dei dilettanti emergenti, e dal 1998 riservato invece - unica iniziativa del genere, nel mondo - a quanti si fossero prodigati a diffondere una visione etica dello sport, e in particolare del suo e nostro tanto amato ciclismo. Dal 1998, appunto, in quella stagione miliare di non ritorno dalla lotta al doping... Già, Renzo Bardelli, e il suo ciclismo beneamato, e “maleamato” in quegli anni da troppi primattori: atleti direttori sportivi medici sociali.
Renzo Bardelli è andato via, e abbiamo aspettato questa ricorrenza e questa occasione per scriverne, e ringraziarlo. Pensare che l’avevamo conosciuto nel 1983, da sindaco di Pistoia, al Premio Ceppo di narrativa, e l’avremmo poi rincontrato, negli anni ’90, lui intellettuale di buone letture civili, su un’altra frontiera di civiltà: lo sport e la morale.
Senza dicotomie, senza frizioni, senza opportunismi Renzo Bardelli - e saremo brevi - era questo. Una persona tutta di un pezzo, senza flessioni, capace di andare via da una formazione politica (il PCI) quando in essa non si sarebbe più riconosciuto e capace di guardare impietoso nel suo mondo prediletto (il ciclismo) quando ne avrebbe colto - Generazione EPO - la deriva.
Renzo Bardelli è andato via, e per la prima volta abbiamo oggi riaperto la galleria delle edizioni del suo Memorial, sfogliato le brochure e rivisto quanto di importante vi sia stato scritto. Nel nome dello sport, e lo ripetiamo fino a stancarci, del ciclismo migliore, quello dei non lestofanti.
Pensiamo, alla rinfusa, e restiamo in questa scrittura oggettivi, perché riguardare a Bardelli è di per sè una vertigine culturale, a Walter Polini, il medico ex-ciclista che puntò l’indice contro l’EPO di squadra, a Rosello e Giuliana Frigo, i genitori di Dario, a Giuliana Salce, a Flavio Alessandri, a Mauro Salizzoni, anche ai NAS di Firenze, perdonateci, al cardinale Luigi Tettamanzi, a Ivano Fanini, a Silvio Garattini, a Mario Zorzoli, a Carlo Petrini, a Françoise Lasne, in ricordo di Jacques De Ceaurriz, per il laboratorio francese di Chatenay - Malabry... Ai tanti giornalisti, tecnici, scrittori, ciclisti in attività o meno che sul palco di quella manifestazione, che diventò poi un appuntamento di amici, un Capodanno di valore non occasionale, si sono succeduti: per un riconoscimento, un applauso, un titolo di merito.
E Renzo Bardelli - scusateci adesso - non ci è parso che dal ciclismo in senso lato sia stato ancora degnamente onorato e illustrato. Non ci fa velo l’affetto personale, è un testo questo a ciglio asciutto, con il freno del batticuore tirato, perché sia compreso senza ermetismi da tutti.
Nel riguardo di una persona che il ciclismo lo ha amato nella gioia e nel dolore estremamente - “estremamente”, già, come avrebbe detto Adriano De Zan - sarebbe davvero cosa buona e giusta che le istituzioni del ciclismo nazionale, se non proprio il CONI, istituissero un riconoscimento almeno per un un ricordo, o ancor più per coniugare nel tempo la sua autentica passione. Autentica, e non di comodo. Che sia adesso dedicato a lui, dall’anno che verrà, senza più il limite di un caro nome proprio, il “Memorial Bardelli”.
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