Gatti & Misfatti
Arcistar

di Cristiano Gatti

Allora, proprio in questo brevissimo periodo sen­za biciclette militanti, mi sembra il caso di ricapitolare tutto l’essenziale che la stagione 2017 ci ha insegnato e consegnato. Do­ven­do estrarre il succo da questa gigantesca ma­cedonia di fatti e misfatti (mica li combina solo il Gatti, sia ben chiaro), io posso dire d’aver ca­pito soprattutto che le corse italiane non valgono più niente, che così co­me sono vanno subito rottamate, che volendo proprio salvarle bisogna intervenire drasticamente. Non con un’aspirina: proprio con una vera cura da cavallo.

Se dico scemenze sono qui a risponderne. Ma non mi pa­re di inventare nulla di nul­la. Provo a riassumere brevemente, perché non mi va di sbrodolare su un’idea essenziale. Mi fermo agli appuntamenti di storia e di prestigio.

Numero uno: la San­re­mo. Non mi invento io che continua a ingrossarsi il partito del “troppo facile”, del partito che vorrebbe inserire una o più salite, per renderla più dura e più selettiva, così che a vincerla non sia più un Kwiatkowski o un Sa­gan (corridorini del cavolo), ma magari Quin­tana o Bernal.
Numero due: il Giro d’I­ta­lia. Non ne parliamo. Così proprio non sta in piedi. Sulla nostra grande corsa a tappe si concentra lo sferragliare di cervelli. Chi vuole tappe più corte e più facili, chi non vuole mai più la partenza all’estero, chi più draconianamente arriva a dire che bisogna spostarlo a dopo l’estate, perché se continua co­sì morirà di desolazione, gli spagnoli sì che han­no capito tutto, guarda nella Vuelta negli ultimi anni il cast d’alto bordo. E pazienza se la Vuel­ta continua sostanzialmente a restare un esame di riparazione per chi ha fallito prima (fermi tutti, lo so, Froome ave­va appena vinto il Tour, però mi permetterete di dire che resta un’eccezionale eccezione).

Numero tre: il Lom­bar­dia. Ce l’abbiamo ancora nelle orecchie. No­no­stante resti il vero Mondiale in linea, nonostante abbia il percorso più completo del mondo (più della Liegi perché ha an­che salite lunghette), nonostante gli spettacoli offerti dai Gil­bert e dai Nibali, dunque da una varietà completa di campioni, siamo al punto che il vicedirettore della Gazzetta, prima firma del ciclismo, cioè un pezzo grossissimo del giornale organizzatore, in altre pa­role Pier Bergonzi, ha lanciato la proposta di sbaraccarlo completamente dalle foglie morte per ricollocarlo tra i germogli di primavera, assieme alle altre superclassiche.

Finisco qui la ricognizione. Spero davvero che tutti ab­biano ascoltato e percepito quello che ho riportato qui. Non mi va di passare per manipolatore e mi­stificatore. In Italia sembra di muoverci tra ruderi e detriti, con un sac­co di architetti in fila per firmare i nuovi progetti di restauro. Ma a me, lo dico apertamente, è un gioco che piace poco. Mi scuso per l’eufemismo, sempre viva la chiarezza: non mi piace proprio per niente.

In mezzo a questo raduno di archistar voglio dire chiaro e tondo che a me le grandi corse italiane continuano a piacere così come sono e così dove stanno. C’è molto da ritoccare nelle rifiniture, ma gli edifici sono ben solidi e an­cora piacenti. Tanto che mezzo mon­do ce li invidia. Se poi consideriamo che ultimamente abbiamo aggiunto al nostro patrimonio pure le Strade Bianche, a mio avviso la vera novità assoluta del calendario mondiale, per originalità del tracciato e per bellezza (mozzafiato) della cornice, mi sento di concludere in un modo solo: al lavoro per valorizzarle, queste corse, non certo per demolirle e rifarle in un altro modo. Se non sei capace di vendere questo ben di Dio, non sarai mai capace di vendere neppure un cerino. Di questo dovremmo parlare, di noi, del nostro lavoro e della nostra fantasia, non delle corse. Torno a ri­petere un luogo comunque ben noto nel ciclismo, e non solo: prendi i francesi, di una cosa qualunque san­no fare un avvenimento roboante e un business corposo. Chiudo restando lì in zona: qualcuno mi spiega perché Tour e Roubaix vanno sempre bene così come sono, anzi guai a chi tocca qualcosa? Per le nostre ab­biamo sempre una ricetta pronta, per le loro abbassiamo il capino e prendiamo tutto a scatola chiusa. È penoso. Prima di cambiare le corse, proviamo a cambiare un po’ la testa.
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