Il Mondiale di Sagan è stato anche per me un mondiale speciale. Il trionfo di Peter Sagan, questo mondiale storico dell’ultima domenica di settembre, l’ho visto infatti straordinariamente, ad età matura, a casa di mia madre, come fossi tornato ad essere quel ragazzino perennemente in fuga, alla caccia di una TV favorevole...
E già, una domenica rituale, non più da mare, i talkshow televisivi che invadono l’attenzione e corroborano in fondo anche il diritto delle donne (moglie e figlie) di casa, e tu ospite per una occasione ancora sgradito: “ma mica vorrai vedere ’sto strazio di ciclismo?”.
E la bella, brutta, sorpresa che il televisore di scorta, quello del prezioso badante srilankese, non funziona affatto. Valli a capire, ’sti televisori ultra tecnologici, con il doppio telecomando, satellitare, digitale, miriade di canali, ostili a noi che abbiamo ancora cocciutamente le ruote, specie quelle della bici, per terra.
Ed allora il Mondiale di Sagan, miracolosamente, l’ho seguito in trasferta da figlio pure ad età da nonno, a casa di mia madre, 92 anni e rotti, “ma sei venuto qui a trovarmi, o per che cosa?”. Il sospetto, ancora una volta, scoperto in flagranza di reato, come quando rimuovevo in fretta e furia Cucciolo o Ciclismo Illustrato dal tavolo da pranzo, e riaprivo ad una pagina sbagliata il libro delle versioni di latino, per simulare l’abito di scolaro diligente...
Il Mondiale di Sagan, così, per un’ora buona, l’ho visto rispondendo alle domande sul passato e sul presente di mia madre, curiosa anche di sapere “come vanno gli italiani, sono quelli con le maglie azzurre, ma quante maglie colorate ci sono oggi?”, lei che pure i corridori ultimi non li conosce certo, ma un nome, quello di Nibali, lo cita senza difficoltà.
“Ti piace sempre il ciclismo, Paolo, eh?”, già, quella sua domanda ogni volta ed ancor più domenica scorsa.
“Ti piace sempre il ciclismo, Paolo, eh?”, quella sua domanda che riaccendeva la memoria e la suggestione dei Mondiali di agosto, fine anni ’60 primi anni ’70, visti in campagna, le estati lunghe di Carano, quando la TV non funzionava bene giù da noi, per un problema di antenna, e per vederli dovevo salire - in bicicletta - sopra alla fattoria dei contadini. Quei 50 metri di dislivello, non di più, che miracolosamente consentivano un giusto segnale ed una degna visione.
Quei mondiali di fine estate, dove all’attacco di buon mattino non andavano ancora come oggi albanesi e marocchini, ma al massino un uruguaiano cocciuto di nome Timon ed un inglese temerario che si chiamava Addy. Quel Mondiale al batticuore devastante, sconcertato, vinto da Basso vs Bitossi, nel ’72, o quello in una tremenda giornata, ultimo di Merckx, nel 1974, davanti a Poulidor.... E prima quelle vittorie da non crederci, di Adorni nel ’68, e di Ottenbros, nel ’69. L’Adorni raggiante che il video lo invadeva, l’Ottenbros timido, che quasi lo rifuggiva.
E così, Sagan, e la sua storia e il suo record di tre Mondiali consecutivi che cancella o in fondo sorvola 90 anni di Campionati del Mondo, applaudito nel salotto di mia madre - “vuoi un caffè?” -, che aveva due anni quando vinse nel ’27 Binda, e che si sarebbe invece innamorata di Guerra. “Sapessi che litigi fra tuo zio Amedeo, che tifava per Binda, ed io che ero per Guerra...“.
E prima di andare via, le persone di una certa età si sa ripetono sempre le stesse cose, come in fondo già cominciamo a fare noi, la sua nuova, stessa domanda “ma ti piace sempre il ciclismo, Paolo, eh?”. E la mia confessione sincera, “sì, mamma”. Ed il suo sorriso di risposta, rasserenata, in pace col tempo, fermo ancora, come sicura che quel suo figlio non fosse diventato mica troppo grande, ma tornato bensì bambino. Un sorriso più felice ancora di quello di Peter Sagan.
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