Urbano Cairo, presidente del Torino Calcio meglio noto come Toro ma soprattutto proprietario fresco della Rcs, dunque del Corriere della Sera ma anche della Gazzetta dello Sport e quindi della corsa rosa, ha constatato che il Giro d’Italia fattura un quinto del Tour de France, e siccome è uomo d’affari oltre che di sport e di editoria (a proposito, l’editoria è ancora un affare?) è interessante attendere, proprio mentre il Giro numero 100 si dipana, le novità della sua gestione, anzi della sua proprietà, sia pure per il prossimo anno.
Il Giro di questo 2017 si è assegnato la partenza dalla Sardegna e il sardo Aru, attesissimo chez lui, si è pre-ammaccato tutto in un incidente. Il Giro di questo2017 dopo l’approdo in Sicilia è stato programmato per risalire la penisola evitando in linea di massima le grandi città (massimo rendez-vous cittadino per un pronti-via da Firenze), e concludersi a cronometro con la frazione da Monza a Milano dopo avere, salvo in tre casi, frequentato località di partenza che non sono state quelle di arrivo il giorno prima, facendo pensare ad operazione di marketing o meglio di marketting per raccogliere due contributi economici diversi da due diversi centri. Trasferimenti a go-go, minimi e no, comunque trasferimenti continui e dunque tanto Giro in auto, e per tutti. In piedi, speriamo, nel futuro qualcosa, o meglio molto, di organizzativamente nuovo, magari con una visione futuribile delle cose, e dunque anteponendo le prospettive di introiti futuri alla raccoltina di soldi pochi, maledetti ma subito.
Ecco, siamo giunti al punto: sentirci cioè deontologicamente obbligati a dire come vorremmo il Giro prossimo venturo, anziché criticare quello attuale in maniera tutto sommato facile o meglio (cioè peggio) faciloide, e sicuramente un po’ gaglioffa. Parlando dal nostro punto di vista, che è giornalistico ma che spera e tenta di essere qualcosetta di più o quantomeno di diverso, pensiamo di avere alcune idee “buone” per il Giro, e non in chiave di imitazione sottomessa o opposizione velleitaria nei riguardi del Tour. Sono idee, come dire?, intellettuali, dunque secondo il balordo sentire comune poco ciclistiche. La prima è quella di una vasta operazione letteraria, diciamo pure culturale, legata al Giro. In parole povere ma (forse) belle il lancio di un colossale concorso nazionale (la diffusione via tivù sarebbe automatica e gratuita) per una frase, davvero, una brevissima definizione,uno slogan,insomma poche forti e valide sillabe sul Giro d’Italia. Giurie al disopra di ogni sospetto (ci sono ancora almeno dieci italiani grandi intellettuali onesti e potenziali validi giurati) e premi assortiti: su tutti però quello una telepubblicizzazione spinta (Cairo possiede pure l’emittente nazionale detta La7).
Poi chiameremmo al seguito una troupe di intellettuali. Ce ne sono in Italia a milioni, ottimi e pessimi ma comunque abbondanti, tanti in bolletta permanente, e facilissimissimo sarebbe attirarne alcuni. Sponsorizzazione facile, attraente per gli industrialotti e neanche troppo cara. Spese pagate, gettoncino giornaliero, produzione ad ogni tappa di una sorta di componimento. Pubblicazione del meglio sui tanti giornali di Cairo, telediffusione giornaliera. In un’Italia che ha piu scrittori che lettori l’operazione sarebbe facile assai. Offerta ai giornali non di Cairo del componimento (migliore) del giorno, gratis. Se il tutto fosse un flop, ci sarebbe finalmente la prova che siamo un paesaccio becero e che non c’è niente da fare persino col Giro, e a questo punto l’attesa della bomba atomica, nordcoreana o no, sarebbe persino gradita.
Chi ci ha letto sin qui può pensare ad uno scherzaccio giornalistico, ad una nostra follia. Invece no, non scherziamo e addirittura pensiamo di essere lucidi. D’altronde quando, anche e specialmente in questi giorni, si disserta sul perché il Tour è più del Giro, si sentenzia solennemente: trattasi di una differenza culturale. Noi ci preoccupiamo soltanto di come intaccare un pochino questa differenza. Personalmente ricordo che ben più di mezzo secolo fa, all’epoca dei primi dei miei ventotto Giri d’Italia, furoreggiava il concorso sugli ordini di arrivo, tappa dopo tappa, un certame così frivolo che persino io vinsi il premio massimo, una sorta di classifica finale, e però a bilanciare questo svago banale avevamo varie sollecitazioni a scrivere, narrando la corsa e ambientandola, dei begli articoli, da mandare poi a questo e quell’ente turistico o vinicolo o altro. Si producevano belle cosine e si riceveva, in caso di vittoria, del buon vino, il che può anche essere il massimo della vita. E c’era persino lo stimolo a seguire la tappa senza correre subito in sala stampa davanti al video, così facendo addirittura del giornalismo.
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