Rapporti&Relazioni
Lo sport delle sfide impossibili
di Gian Paolo Ormezzano

Il ciclismo è uno dei pochi sport al mondo, se non l’unico, dove si possa pensare che i campioni di un tempo, semplicemente messi adesso sulle strade, batterebbero i campioni attuali. Tutto il resto dello sport non frequenta questo tipo di ragionamento, persino l’automobilismo non prende in considerazione l’idea di un Fangio che, messo su una Ferrari di adesso, batte Schumacher. Ma il ciclismo no, per il ciclismo Coppi che tornasse a pedalare, ovviamente provvisto di gioventù, sconfiggerebbe facilmente tutti i meglio corridori attuali.
Coppi senza la preparazione, l’alimentazione e magari anche la chimica di oggi? Sì, gli basterebbero per colmare il disavanzo le strade attuali, assai più belle di quelle della sua epoca, e le biciclette attuali, molto meno faticose di quelle su cui pedalava lui.

Personalmente abbiamo messo avanti una tesi che ha persino avuto un certo successo: Coppi il più grande, Merckx il più forte. È magari piaciuta a quasi tutti, ma poi, se si pensa ad una sfida diretta Coppi-Merckx, non ci sono santi, si pensa anche che vince Coppi.
Ci viene in mente un episodio gentile. Mattinata sportiva al Quirinale, dove presidente della repubbica è Sandro Pertini. Il grande vecchio si sofferma accanto a Gimondi, lo complimenta per quello che ha fatto, e poi confidenzialmente gli dice: «Lei e altri come lei siete bravi, ma il Diavolo Rosso vi batterebbe tutti». Gimondi abbozza, sorride, lì per lì non gli viene in mente questo Diavolo Rosso, che non ricorda di avere mai incontrato. Il fatto è che il Diavolo Rosso era Giovanni Gerbi da Asti, corridore balzano e grande degli anni Venti, quando Gimondi era ancora nel mondo della luna. Pertini ha parlato sinceramente, davvero credendo che il Diavolo Rosso tornato in vita si sarebbe fatto un boccone di tutti i pedalatori quel giorno intorno a lui al Quirinale. Pertini amava il ciclismo, e infatti come ciclofilo portato ai confronti stava nella norma.


Pare che La Gazzetta dello Sport intenda puntare l’anno prossimo moltissimo sul ciclismo, a dispetto della crisi delle due ruote. Messa in orbita sul calciomercato dalla nuova direzione, la rosea userebbe il ciclismo per una specie di lunga vacanza attiva, al Giro d’Italia, degli spiriti nello sport della fatica. Padronissimi noi di leggere in questa relativa novità la crisi del calcio di vetrina, che dopo tante promesse regala poco quanto a sport, molto quanto a veleni e scandali però in chiave di negatività pericolosa, di possibile disaffezione, moltissimo quanto a fantasie di mercato, fantasie che i lettori praticano con felicità, anche se sanno benissimo che ben poche delle notizie sparate a più colonne si realizzano.

Se l’indiscrezione che abbiamo raccolto fosse vera (e ce lo auguriamo), si potrebbe davvero sperare in un interesse popolare, ottimo e abbondante, da far rivivere e da veicolare con iniziative assortite, da sfrucugliare con trovatine e trovatone, insomma da coltivare a fini editoriali, diffusionali e non solo? L’Italia che conobbe i deliri popolari ai tempi di Bartali e Coppi potrebbe di nuovo essere portata da una iniziativa sportiva-giornalistica non diciamo a delirare, ma ad interessarsi a fondo ad eventi che ora come ora sono, specialmente presso i giovani, fuori moda?
Speriamo che le indiscrezioni siano vere. Sarebbe una bella scommessa, potrebbe concludersi con una bella impresa. Proponiamo un gruppetto di scrittori invitati al Giro, a scrivere giorno dopo giorno un romanzo ambientato nella corsa, con uomini e fatti e giorni giusti, nel famoso tempo reale.


Domanda giornalistica anche e specialmente per giornalisti: è ancora possibile trovare e offrire d’inverno argomenti ciclistici che non siano quelli delle prime corse in linea, che sono pure, in linea stavolta di massima, tutte fasulle? Argomenti di fondo, di affondo, problemi di corse che non trovano strade, di strade che perdono corse, di gente innamorata del ciclismo ma come costretta ad una vita sentimentale carbonara perché il suo sport beneamato è fuori moda, sa di sudore, è duro lavoro alla macchina in attesa di diventare lavoro alla macchia.
Possibile che non ci sia d’inverno una vita interessante di Cipollini, una dolente stagione di Pantani, un processo per doping che si conclude con lo sputtanamento dei farisei, dei maramaldi? Possibile che per parlare di doping si aspetti la fialetta sospetta trovata in una città di traguardo?
I giornalisti ciclofili all’interno delle redazioni sportive dovrebbero impegnarsi a lottare, per trovare spazi di questo tipo, per crearli. Magari garantendo scandali eccetera, e poi scusandosi se non sono riusciti a scrivere abbastanza scandalosamente, ma hanno soprattutto parlato di sport. In fondo furono i giornalisti a eroicamente fare subito grande il primissimo ciclismo.

Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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