I n un giorno speciale della mia vita abitualmente qualunque ma di tanto in tanto abbastanza speciale (nel senso quasi sempre di incasinatissima), un giorno con in ballo il mio Toro alla vigilia della partita più importante dell’anno e in ballo anche cose varie dei miei tre figli e otto nipoti, con addosso la tristezza di una stagione primaverile senza sole, in giorno così e cosà, insomma, c’è stato l’appuntamento consueto da Gianni R., sulle colline sopra Tortona, a un tiro d’occhio da Castellania dove è nato Fausto Coppi.
Gianni R. (neanche sotto tortura violerei la sua privacy fornendo un cognome che tutti da quelle parti conoscono) è un professionista stimato, che lavora in città e che ama il ciclismo, per il quale ha scritto, edito, prodotto, confezionato anche numerose opere librarie, preziose e singolari, intrise di amore diligente, motivato, storicistico. Essendo le strade sue quelle dove passavano Fausto e Serse giovinetti sognando grandi cose nel ciclismo agonistico, c’è un’aria particolare, che vellica i ricordi. Gianni R. completa il tutto convocando le persone giuste e liberando il suo cavallo che si fa ammirare. Naturalmente ci sono cibi e vini divini, ma c’è anche atmosfera bella di suo, con il senso di un’amicizia che, grazie allo sport anzi al ciclismo, va al di là della stessa consuetudine diciamo fisica, che vive per scadenze molto spalmate nel tempo.
Lo scorso aprile Gianni R. ci ha chiesto alcuni minuti di attenzione particolare per ricordare uno che a questi incontri prendeva parte una volta e ora non più. Si chiamava Renzo Zanazzi, milanesone amico dei Navigli, ciclista libero ai tempi di Bartali e Coppi, libero perché andava in fuga quando gli pareva. Ha fatto pure il gregario, sempre però concedendosi follie meravigliose, e i Giri del dopoguerra si riempirono spesso di lui, delle sue prodezze sempre più spavalde che ribalde, talora col fratello Valeriano. Zanazzi è stato fatto rivivere in cinque minuti di filmato nei quali si racconta con alcune registrazioni e con immagini del suo ciclismo, in bianco e nero “piovosi”. Una cosa tenerissima che ha commosso tutti.
Tutti chi? Be’, ci sono gli ospiti fissi, dei quali faccio felicissimissimamente parte, e gli ospiti intercambiabili ergo alternati. Ci sono quelli del ciclismo e quelli della musica leggera con tendenza ciclistica. L’Alessandrino è terra di cantanti bravi, anche Luigi Tenco era alessandrino, pur se ascritto alla genìa genovese o quanto meno ligure. C’è Gian Pieretti che è diventato famoso per la canzone di quello che gli tirano le pietre, lui l’ha fatta ed anche cantata ma altri hanno raccolto maggiore gloria e anche maggiori diritti d’autore. C’è Donatello che ogni tanto ci racconta di Sanremo, dove è andato un sacco di volte, e poi ci canta la sua canzone preferita, “Da grande vorrei essere Carrea”, parole sue di lui.
Già Carrea, proprio l’ex ciclista. Si chiamava Andrea ma tutti lo chiamavano Sandro anzi Sandrino, è stato il gregario massimo di Fausto Coppi, un giorno al Tour mise pure la maglia gialla, la lasciò dopo una tappa, scusandosi col suo signore e padrone e capitano di avere osato/sognato troppo. Grande naso come tutti i veri ciclisti, Era dei nostri, è mancato un paio di anni fa. Lui scomparso come Ettore Milano, l’altro gemello di gregariato sommo, sposato alla figlia di Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco che divinò la grandezza ciclistica del ragazzino Fausto tastandogli i muscoli. Il ciclismo glorioso ormai chez Gianni R. vive e si raggruma quasi tutto in Marino Vigna che fu bravo “pro” ma anche oro olimpico a Roma 1960 su pista, inseguimento a squadre, e in Sante Gaiardoni lo sprinter dei duelli in pista con Maspes e delle due vittorie lui pure a Roma 1960: tondo il giusto, lucidità ed anche movimenti giovanili, bella moglie quella Elsa Quarta che è stata cantante vera, di lirica anche, e regolarmente ci canta belle cose anche di oggi. Poi ci sono i poeti di Tortona e di Novi, poeti nel senso che parlano di sport, specie ciclismo, e sembra sempre che si esprimano in versi. E c’è Marina.
Marina di cognome da sposata fa Balocco, il marito Gianni è sempre con lei, ma da signorina faceva Coppi. Lei, la figlia del Campionissimo, lei che vive a Novi Ligure ma sempre più si sposta a Castellania, il paese di papà, dove Francesco figlio suo produce vino intitolato alle “Vigne di Marina Coppi”, una barbera più che onesta nel senso di purezza, forza, gradazione. Francesco produce anche il Fausto che è vino timorasso, forse la più recente gloriosa riscoperta enologica italiana, un bianco che invecchia, barolo bianco lo chiamano, poche grandi bottiglie proprio da quelle colline che vanno, onda verde su onda verde, sino a Castellania. Ogni tanto con Marina parlo di suo padre, che lei vide poco ma che io elessi a mio dio dello sport.
Una domanda semplice, quasi un atto dovuto: ma sarebbe mai possibile organizzare un giornata così con quelli del calcio?
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