L’ anno scorso, il medico degli occhi ci aveva rigorosamente vietato di vederla, la Milano-Sanremo. Ma quest’ anno, no. Quest’ anno ce la siamo potuta vedere (nuovamente) e ci siamo davvero - come si dice a Napoli, anche se io bene proprio non so scriverlo il dialetto della mia città -, arrecreati. Diciamo, con malcelata autoironia, ci siamo rifatti gli occhi.
Mon dieu, che corsa, e che finale. Senza Pompeiana, senza Manie, dicevano, dubitavano….
Ma chi se ne può fregare di meno, di una collinetta in più, a fronte di un filo teso di emozione e adrenalina pura - anzi no, quella migliore degli stimolanti propri, la noradrenalina -, come è stato il finale della Sanremo 2014?
Non ce la togliete, allora, la Sanremo della enorme facilità e della straordinaria difficoltà.
Non ce la togliete, o rimuoveteci pure per punizione sta rubrica, la Sanremo del solo Mago Turchino, dei soli Tre Capi, della ben posta Cipressa, del Poggio per le aquile, no, non ce la togliete. E non negateci il volo da Icaro che dei 294 chilometri totali, da Milano alla Riviera, si brucia in una planata, in una nota sola. Di autore, di scrittore autentico, però.
Il segno di Kristoff, l’abbiamo appena ammirato. Religioso, o monumentale. Ma quel sigillo è stata l’ epigrafe di una rappresentazione senza eguali recenti, per come l’abbiamo vissuta. O letta. O rivista, alla rinfusa.
Dove mettete l’affondo gentile di Sonny Colbrelli, ed un ragazzo di nome Sonny non può non avere un futuro letterario, o musicale? Bastava, chissà, crederci un po’ di più. E non guardarsi indietro. E se ci fossero state Pompeiana e Manie a dare sincopi anomale, avremmo ammirato la regia di Luca Paolini, anche se non ne condividiamo affatto la barba, la regia nei tratti più difficili appunto, altro che telecamere nobili, la pianura dove tutto e nulla succede, ma succede tutto?
E ci fossero state altre più diluite chances di offesa, lungo il percorso, saremmo qui a dedicare una apoteosi, non a Kristoff, blasfemi, ma a quel Vincenzo Nibali che è stato ad un passo dal siglare una impresa non di altri tempi, come si dice, bensì dei tempi giusti del ciclismo? Una impresa straordinaria, con l’attacco secco sulla Cipressa, e la picchiata sull’Aurelia. Una favola più da Coppi, che da Merckx… Sarà stato il celeste intrigante della maglia Astana.
Non toglieteci in futuro la Sanremo di quest’edizione, rendendola diversa da questa.
E non rimuovete quel diritto unanime al sogno che in una corsa senza asperità ruvide, ma così inesorabilmente selettiva, per distanza e stagione, ne resta il fascino divino.
Spirito divino, la Sanremo. Gli ultimi alla partenza, possono diventare i primi all’arrivo.
E dedicate, a mio nome, se non lo fa la RCS Sport, un premio speciale a Maarten Tjallingii, quell’olandese della Belkin, uno che d’altra parte aveva cominciato a girare il mondo con la “Marco Polo”, e che aveva vinto per avventura in Cina, prima di vincere di rito in Belgio, autore dell’impresa forse più incredibile di un giorno agonistico infinito. Lui, uno tosto, 36 anni, in fuga, ed ultimo a cedere, dal chilometro 4 al 276 o giù di lì, per un primato storico di 272 chilometri all’avanguardia.
E capace pure di arrivare al traguardo 41°, prima di Vincenzo Nibali stesso, che era stato pure il primo a riprenderlo.
Mon dieu, un ciclismo di attributi, niente da dire, quello della Sanremo 2014. Ed anche di tanti superlativi che ci auguriamo non vengano smentiti mai.
Come il percorso sacro della Sanremo.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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