Anche se è fatica smaltire la colossale sbornia del decennale, su Pantani voglio ancora dire un paio di cose. Mi sembra giusto e doveroso. Poi basta, poi si torna in un decoroso silenzio.
Prima di tutto l’idea guida di tutte le memorie, le ricostruzioni, gli inediti e le testimonianze. Ha trionfato la grande rabbia per il povero Marco ridotto a capro espiatorio, vittima del sistema marcio e corrotto, lui duro e puro in un mondo di ladri. Certo non sto qui a difendere il sistema: non l’ho mai fatto, non mi è mai piaciuto, già molto prima del caso Pantani. Però non posso neppure accettare questa teoria del martire crocefisso come Nostro Signore. Anche se piace ricordarlo vittima sacrificale di un complotto cosmico, la verità è molto più complessa. Marco non è il solo ad aver pagato. Non è neppure il primo: con un certo anticipo, era già finita nella polvere del doping la simpatica cricca della Festina. Poi, con effetto slavina, tutti gli altri. E quando si dice tutti, significa proprio tutti. Mi spiace essere noioso, ma bisognerà pur rinfrescare la memoria: Zuelle, Virenque, Gotti, Ullrich, Iulich, Garzelli, Simoni, Basso, Rebellin, Sella, Ballan, Pellizotti, Vinokourov, Hamilton, Landis, Rasmussen, Valverde, Riccò, Di Luca, Frank Schleck, Contador, Cipollini, Armstrong…
Certo l’elenco non è completo. Ma mi pare questi nomi possano bastare per sconfessare drasticamente la retorica italiota e tifosa che dipinge Pantani come unico eroe sbattuto giù dal piedestallo. C’è una folla, giù dal piedestallo. Ci sono finiti tutti, giù dal piedestallo. Certo non tutti assieme, perché i tempi e i modi dell’antidoping sono a dir poco contorti e cervellotici, per non dire qualche volta decisamente pilotati, ma il risultato finale proprio non cambia: tutti hanno pagato per il doping, non solo Pantani. Caso mai Pantani ha pagato in modo eclatante una sua precisa scelta: all’epoca di Campiglio, l’ematocrito alto non era considerato doping (ipocritamente). Marco avrebbe potuto incassare la sberla e ripartire di slancio due settimane dopo, e sottolineo due settimane. Se il suo ego, il suo orgoglio, ma soprattutto il suo entourage megalomane non lo avessero indotto a scatenare la bufera giudiziaria, forse la storia sarebbe ricominciata in un altro modo. Forse. Anche se è sempre difficile pensare che noialtri derelitti possiamo sfuggire al destino prefissato.
Poi c’è una seconda cosa: il decennale è servito alla beatificazione, com’è umano e inevitabile negli anniversari, ma in questo caso si è commesso un autentico peccato di mistificazione. No, non credo sia il modo giusto di rendere omaggio a Marco raccontandolo santo e perfetto. Eroe e martire. Non lo fanno neppure per i papi. Nei giorni dell’anniversario non si è sentita una sola parola sulla sua personalità complessa, ad esempio su quel suo modo sbilanciato di concepire l’amicizia e i rapporti umani. Con Marco si poteva essere amici come può esserlo il maggiordomo con il padrone, come il suddito con il re, lui sul trono e l’amico sull’inginocchiatoio a contemplarlo e a dirgli sì. Personalmente non è questa l’idea che ho dell’amicizia vera. Nell’amicizia vera non esistono troni e non esistono inginocchiatoi. Si sta sullo stesso piano, punto e basta.
Ma ancora più colpevole ho trovato la totale mancanza di autocritica dell’ambiente che circondava il mito. Ragazzi, facciamola breve e basta con le ipocrite poesie: negli ultimi mesi Marco stava malissimo, era disperatissimo, tanto da affidarsi al Sert di Ravenna. I Sert non sono circoli del golf o sezioni del Rotary: chiedere per conoscere. Ma mentre lui procedeva senza bussola verso la sconfitta totale, l’entourage raccontava in giro che non c’era problema, che si stava allenando, che aveva grandi progetti. Ricordo benissimo: una volta era ricoverato in una clinica sui Colli Euganei per il recupero dalle dipendenze, ma negli stessi giorni i fedelissimi che avrebbero dovuto stargli molto vicino si preoccupavano solo di negare, depistare, smentire. Tutte cattiverie, secondo loro, Marco si stava allenando all’estero, tra l’altro stava andando fortissimo. E i pochissimi amici veri che provavano a lanciare l’Sos, prontamente venivano allontanati…
Non si è sentita una parola, di questa vera verità, nella baraonda del decennale. Tutti presi a ravanare nei dettagli dell’inchiesta giudiziaria, tutti esagitati nel pretendere le scuse della Storia e degli uomini gretti che hanno sacrificato l’agnello. Non sono sicuro che questo sia il modo migliore per onorare Marco Pantani. Non sono sicuro che il decennale passi agli archivi come momento alto e commovente. La beatificazione rabbiosa e vendicativa, con la bava alla bocca, non servirà a esaltare il ricordo. Di tutto s’è parlato, tranne che della verità più dolorosa: Marco era un giovane uomo alla deriva, in preda alla sofferenza più atroce, ma nessuno nel suo cerchio magico ha voluto prendersi la briga di caricarselo sulle spalle così com’era. Erano tutti presi a salvare la corona.
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